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Libri - Recensioni e Profili
"Regole. Quali sono quelle giuste e perché vanno rispettate" Stampa E-mail
Proposte concrete per rilanciare il nostro Paese
      Scritto da Simone Arseni
15/11/10

Roger Abravanel e Luca D'Agnese
Regole. Quali sono quelle giuste e perché vanno rispettate
ed. Garzanti Libri, Milano 2010


L’Italia ha un’economia fragile e stagnante. La crisi finanziaria originata dai mutui subprime inciderà più a lungo e più in profondità rispetto agli altri stati europei, che si calcola avranno tempi di ripresa intorno ai 3 anni (contro i 7 previsti per l’Italia).

Volendo utilizzare una metafora manzoniana, l’Italia, nel sistema degli stati che escono dalla crisi economica, è “un vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro”. 

Questo accade perché la crisi congiunturale del 2008 si è innestata, in Italia, in un contesto di crisi strutturale di ben più antico respiro. Dopo la bella illusione del miracolo economico, durato dal 1950 al 1980, i dati sulla crescita dell’economia italiana si sono drasticamente ridotti, accompagnati da un aumento del debito pubblico tale da impedire, oggi, un qualsiasi intervento espansivo della spesa pubblica per uscire dalla crisi.

Al di là degli investimenti, l’Italia ha bisogno di nuove regole e di organismi indipendenti che le facciano rispettare.
Ciò deve avvenire nel settore primario come nel terziario; sul terreno dell’istruzione, dell’informazione pubblica e della giustizia civile.
È questo il tema di fondo del recente libro di Roger Abravanel e Luca D’Agnese, edito da Garzanti e titolato Regole. Perché tutti gli italiani devono sviluppare quelle giuste e rispettarle per rilanciare il paese.

Si discute spesso se le regole non siano qualcosa che comprime la libertà. Intorno a questa parola hanno lavorato per secoli le menti dei filosofi più vivaci. Grazie a loro questa parola si è riempita di significati e di efficacia storica. Significati ed efficacia sono però venuti lentamente meno nel corso dell’ultimo mezzo secolo, allorché la parola libertà si è svuotata dei significati acquisiti storicamente, restando un significante privo di rilevanza concettuale.

Secondo Kant, il valore da attribuire alla libertà è inscindibile dal concetto di responsabilità: libero è colui che rispetta le regole che l’uomo si è liberamente assegnato. La libertà umana si esplica nell’elaborazione di leggi cui ogni individuo ha l’obbligo morale di conformarsi.

Tanto più sono libero quanto più sono responsabile di fronte alla legge.

La legge, dunque, la regola è come una finestra cui l’uomo si affaccia per cogliere un attributo appartenente al mondo noumenico: l’arbitrio, l’autonomia. Quest’ultimo è un termine che deriva dall’unione di due parole greche: autos, che significa “proprio”, e nomos, che significa “legge”. È proprio la possibilità di darsi delle regole del vivere sociale il presupposto essenziale per disporre della propria libertà. Ma non basta darsi delle regole. È necessario anche rispettarle e quindi essere chiamati a rispondere delle proprie infrazioni davanti a un giudice.

Non sembri questa affermazione una banalità, poiché l’evasione dalla regola, in Italia, è una prassi così frequente e taciuta da suscitare in alcuni cittadini virtuosi, come gli autori di questo saggio, il bisogno di riportare all’attenzione di tutti “l’imperativo categorico”, per dirla con Kant, di una legislazione razionale che spinga il cittadino al rispetto delle regole

Secondo Abravanel e D’Agnese, le regole, più che essere tante (il cosiddetto “ipernormativismo” all’italiana) devono essere giuste. Per definire un sistema di leggi giuste, Abravanel e D’Agnese descrivono un “circolo virtuoso delle regole” già vigente in alcuni sistemi politici, da quello inglese e statunitense a quello di Singapore e Hong Kong.

Questo circolo virtuoso è basato su alcuni elementi imprescindibili: primo tra tutti una società avanzata capace di percepire la necessità di aggiornare le regole in modo da adattarle ai bisogni emergenti. Tuttavia, questo elemento da solo non basta se non è affiancato dalla rapidità delle imprese e dei cittadini nell’adeguarsi alle nuove regole, anziché aggirarle. Infatti, come è scritto nel volume, “se non si rispettano le regole è impossibile capire se sono buone o cattive e come eventualmente modificarle”. Fondamentale, per evitare l’aggiramento della regola, è l’esistenza di controlli severi affiancati da sistema di giustizia efficiente, e quindi efficace, in grado di punire gli illeciti in tempi brevi. Solo in una società così strutturata è possibile verificare la bontà o meno di una regola ed, eventualmente, modificarla.

Veniamo, dunque, alla tesi centrale del libro: secondo i due autori, in Italia, da diversi decenni, si è instaurato un “circolo vizioso delle regole”, che scaturisce da uno scarso controllo sulla legalità. Questa assenza di controllo è da ricercare in carenze notevoli nei tre settori dell’eduzione civica, dell’indipendenza dei media e della rapidità della giustizia civile.

A titolo esplicativo propongo brevemente un passo del libro (pp. 221-222) che descrive come il “circolo virtuoso delle regole”, in Italia, si trasformi in circolo vizioso:

  1. Molte regole non vengono rispettate per un misto di furbizia e incapacità dei soggetti che dovrebbero rispettarle. C’è soprattutto l’incapacità di adeguarsi a una normativa complicatissima, di cui raramente si capisce la logica.
  2. In questa situazione lo stato tende a emanare nuove regole (sbagliate), muovendo in due direzioni opposte, entrambe controproducenti: si accetta il fatto che le regole non siano rispettate e si cerca di mitigare il danno (ad esempio con i condoni); oppure si emanano, in un’ottica per lo più populista, misure ancora più rigide e dunque, nella pratica, più difficili da rispettare.
  3. […]cittadini e imprese si adattano a un ambiente competitivo in cui l’elusione delle regole è la norma, e perdono di competitività rispetto a contesti più trasparenti.
  4. […] l’evasione si diffonde sempre di più e rende impraticabile il perseguimento di massa delle violazioni.

Preso atto di questi problemi, i due autori, nella parte finale del libro, si soffermano ad analizzare alcune soluzioni esposte sotto forma di proposte e riassunte nella definizione di blitzkrieg (guerra lampo) delle regole”. Le idee in grado di interrompere il circolo vizioso intervenendo direttamente sui suoi elementi caratterizzanti sono tre.

La prima riguarda il sistema scolastico e mira a passare dall’attuale “autonomia irresponsabile” delle scuole e delle università pubbliche, al “decentramento controllato”. In breve, grazie all’istituzione di test nazionali e a un potenziamento dell’attività di ispettorato, il ministero dovrebbe acquisire il potere di controllare la qualità dell’insegnamento a livello nazionale e dovrebbe essere in grado di valutare la capacità di ogni Regione di raggiungere gli obiettivi di miglioramento enunciati. È necessario, per questo, attribuire al ministero il potere di “commissariare”, eventualmente, le Regioni meno virtuose. Una combinazione di guida centralizzata a livello ministeriale e attuazione decentrata degli obiettivi a livello di Regioni e di scuole.

La seconda proposta riguarda la possibilità di velocizzare la farraginosa giustizia civile italiana.

Dai dati di uno studio della Banca Mondiale che analizzava al durata di un processo- tipo commerciale, l’Italia risultava al centocinquantaseiesimo posto su 181 stati, dopo il Gabon e poco prima di Gibuti, Afghanistan e Timor Est. Nel proporre una soluzione a questo stato di cose, gli autori prendono a modello l’esperienza condotta da Mario Barbuto, presidente del Tribunale di Torino, che in pochi mesi, grazie a un’impostazione del lavoro di tipo manageriale, è riuscito a smaltire buona parte degli arretrati accumulati nel corso degli anni. Concretamente si propone la creazione di una delivery unit (concepita e attuata da Tony Blair come una task force orientata al miglioramento del servizio pubblico) da affidare a un magistrato che si è distinto per capacità manageriali oltre che giuridiche, il quale disponga di giovani magistrati meritevoli e degli strumenti informatici necessari per replicare il miracolo di Barbuto e formare i futuri “magistrati- dirigenti”. A nominare la delivery unit non sarebbe però il governo (come avvenne in Gran Bretagna), ma il CSM (Consiglio Superiore della Magistratura), al fine di evitare un’ulteriore esasperazione dello scontro in atto tra politica e magistratura.

Una terza proposta riguarda la creazione di una nuova governance per la Rai, perché si renda veramente indipendente dalla politica e fornisca al cittadino programmi di informazione alla pari della televisione pubblica inglese (Bbc) o statunitense (Pbs). L’idea, in poche parole, è quella di costituire una commissione di vigilanza italiana simile al BBC Trust (e dunque non composta da parlamentari, come accade con quella odierna), che ponga enfasi sulla qualità della programmazione piuttosto che sulla par condicio (l’equilibrio tra le diverse posizioni politiche all’interno dei singoli programmi).

Vi sono poi proposte per migliorare il funzionamento dei servizi pubblici locali, per risollevare l’industria italiana troppo incentrata sulle piccole imprese, per dare nuova spinta al settore del turismo, decisamente sottosviluppato allo stato attuale delle cose. 

A problemi reali Abravanel e D’Agnese giustappongono soluzioni concrete, nella speranza di suscitare un dibattito politico su questi temi piuttosto che sul gossip e sugli interessi personalistici dei singoli parlamentari. Riportare la discussione politica sui problemi che interessano il paese, questo è uno degli obiettivi degli autori e per questo meritano l’attenzione e l’ascolto di ogni cittadino e uomo politico responsabile.



Giudizio Utente: / 8

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