PRIMA PAGINA
faq
Mappa del sito
Temi caldi
Temi caldi
Notizie
Attualità
Politica
Economia
In Europa
Nel Mondo
Contrappunti
Intorno a noi
Città e Quartieri
La Regione
Religione
Notizie e commenti
Cattolici e politica
Documenti ecclesiali
Link utili
Cultura
Libri
Cinema
Musica
Fumetti e Cartoni
Teatro
Arte ed eventi
Storia
Scienze e natura
Rubriche
Focus TV
Sport
Mangiar bene
Salute
Amore e Psiche
Soldi
Diritti
Viaggi e motori
Tecnologia
Buonumore
Login Utente
Username

Password

Ricordami
Dimenticata la password?
Indicizzazione
Convenzioni


Notizie - Nel Mondo
BP, Obama e ambientalisti: la trimurti del disastro nel Golfo del Messico Stampa E-mail
Se l’indignazione proviene da chi ha contribuito a creare il danno con i paraocchi ideologici
      Scritto da Mariopaolo Fadda
26/07/10
Vignetta di Vincino, da 'Il Foglio'
Vignetta di Vincino, da  Il Foglio
L’incidente della piattaforma Deepwater Horizon, nel golfo del Messico, è stata l’occasione per gli ambientalisti di esibirsi nei loro squallidi refrains: “noi lo avevamo previsto” e “le grosse compagnie stanno rovinando l’ambiente”.

Le compagnie petrolifere, come scriveva uno dei fondatori (pentiti) di Greenpeace, Patrick Moore, sono il bersaglio principale di questa banda di sciacalli che fingono di interessarsi dell’ambiente. E siccome quelli come noi che rifiutano di arruolarsi nelle loro armate brancaleone vengono sempre accusati di essere da queste pagati, chiariamo subito che chi scrive non solo non prende un solo centesimo dalla BP, ma non gliene sborsa uno. Infatti, da quanto ha scoperto che la BP era uno dei maggiori sponsor del trattato di Kyoto, che realizzava ipocriti distributori “verdi” e che finanziava la campagna di uno dei più incompetenti presidenti della storia americana, non ha più fatto un solo rifornimento nei suoi distributori.

La BP è certamente responsabile dell’esplosione, come lo è l’amministrazione Obama per la mancata tempestività nell’operazione di contenimento del disastro. È sotto gli occhi di tutti l’inefficienza di un’amministrazione che pretende che l’intervento pubblico sia di gran lunga la miglior soluzione per i problemi sociali ed economici, ignorando che questo intervento risulta deleterio se fuoriesce dagli ambiti in cui è strettamente necessario. Non a caso qualcuno ha ricordato un celebre detto di Ronald Reagan: “Le nove più terrificanti parole della lingua inglese sono: ‘Io sono del Governo e sono qui per aiutare’ ”.

Se, al di là della semplice cronaca, andiamo a vedere i motivi per cui un simile incidente è potuto accadere, ci rendiamo conto che è essenzialmente contro la potente lobby ambientalista che bisogna puntare il dito accusatore.

Nella piattaforma Deepwater Horizon la trivellazione inizia a 1.500 metri di profondità e, per raggiungere il deposito petrolifero, deve continuare per altri 10.000 metri. Questa non è una meraviglia tecnologica, è una pura e semplice follia. A questo punto ci chiediamo: perché la BP trivella a simili profondità? Grazie all’opposizione di un’infima minoranza (gli ambientalisti), quasi tutte le basse coste dell’Atlantico e del Pacifico degli USA sono interdette alle trivellazioni; ed essendo le aree trivellabili nelle acque basse del Golfo del Messico supersfruttate, le compagnie sono state costrette ad effettuare le estrazioni in acque sempre più profonde.

È chiaramente più facile, in caso di incidente, intervenire in acque basse o sulla terraferma ed evitare conseguenze disastrose per la gente e per l’ambiente. Se l’incidente avviene a 100 metri di profondità ci sono le tecnologie in grado di limitare i danni; a 1.500 metri no, come dimostrato dall’incidente della piattaforma BP.

Ma gli ambientalisti amano i disastri. Sui disastri hanno costruito la loro squallida fortuna politica, mediatica e finanziaria. Sono loro che hanno spinto compagnie petrolifere, come la BP, a trivellare in quei posti dove questo tipo di disastri è più probabile che accadano. In questo modo loro possono specularci sopra e costruire miserabili carriere politico-mondane. Al Gore docet.

Da oltre 30 anni è proibita la trivellazione nell’Artic National Wildlife Refuge in Alaska. Come ha evidenziato il governatore Sean Parnell, “le agenzie federali stanno bloccando lo sviluppo petrolifero della National Petroleum Reserve dell’Alaska… 23 milioni di acri (9 milioni e trecentomila ettari) di terreno della North Slope dell’Alaska... Le più recenti stime indicano che contiene 12 miliardi di barili di petrolio e 73 trilioni di piedi cubi di gas naturale. Oltre a contenere queste enormi quantità di idrocarburi, la NPR-A è vicina alla Trans-Alaska Pipeline, il che significa che ci sono relativamente poche infrastrutture addizionali da costruire per trasportare il petrolio nel nostro mercato nazionale. Ma anche qui il progresso è stato procrastinato”.
L’area che potrebbe essere interessata da una possibile trivellazione sarebbe l’equivalente di un francobollo in un campo di calcio; ma la lobby ambientalista non sente ragioni. E siccome solo gli stolti possono pensare di fare a meno del petrolio, se non si trivella in America si trivella in altri paesi a cui dell’ambiente non gliene importa un bel niente.

Gli ambientalisti non sono responsabili solo per le pericolose localizzazioni, ma anche per l’inefficienza delle operazioni di risanamento dovuta alle oscene normative che l’agenzia americana di protezione (si fa per dire) dell’ambiente (EPA), da loro manovrata, emana a ritmo quotidiano. La FEMA, l’agenzia federale per le emergenze, già di per sé un monumento all’inefficienza, si ritrova, a disastro avvenuto, nell’impossibilita di raccapezzarsi in questo guazzabuglio normativo e per settimane non può far altro che stare a guardare e sperare… nel Messia.

Ad essere franchi, bisogna riconoscere che l’alta qualità della vita ha viziato la stragrande maggioranza di noi occidentali, verdi inclusi, che guidano auto a benzina e pretendono che il suo prezzo resti basso. Se il prezzo sale, gridiamo contro le compagnie petrolifere che fanno profitti; e quando accadono le catastrofi chiediamo multe salate e l’intervento delle incompetenti burocrazie statali e parastatali.

Certo, le compagnie devono impegnarsi per ridurre al minimo la possibilità di incidenti, ed è giusto che sia punito chi determina gravi disastri (che non solo deturpano l’ambiente, ma minano anche la salute delle popolazioni e mettono in ginocchio interi settori economici delle zone colpite). Ma a questo scopo bisogna imporre loro prescrizioni concretamente sostenibili. Se si pretende il “rischio zero” in trivellazioni ad alta profondità, questo sicurezza diventa chimerica, perché possibile solo a costi astronomici. Siamo disposti, per inseguire ubbie ambientaliste, a pagare 7/8 euro al litro la benzina? Siamo disposti a liquidare il nostro sistema di vita? Siamo disposti al collasso della nostra economia? Noi certamente no, ma gli ambientalisti ne hanno fatto uno scopo, anche se non abbiamo ancora visto uno solo di loro ritirarsi in una caverna del deserto e tagliare definitivamente i ponti con la civiltà.

Bisognerebbe capire che è necessario ricercare – come in tutte le cose della vita – un equilibrio realistico tra costi e benefici.
Non ha senso affrontare per la sicurezza ambientale costi assurdi a fronte di benefici non determinabili, come quelli che si dovrebbero ricavare applicando il cervellotico “principio di precauzione” (si pensi alla follia di chi voleva interrare tutti gli elettrodotti per evitare i campi magnetici…).
Ha senso, piuttosto, prevedere un adeguato contenimento del rischio, in modo che, a fronte di costi certi ragionevoli, sia possibile prevenire costi eventuali (economici e non solo) eccessivi. È lo stesso principio delle assicurazioni…

Quando poi si fanno rilevare agli ambientalisti queste incongruenze, allora hanno subito pronta la risposta di riserva: imprecano contro il petrolio e vogliono l’energia verde. Un altro imbroglio su cui da anni speculano impunemente. Tutta l’energia prodotta dal vento, dal sole e dall’acqua costituisce a tutt’oggi (2010) il 5% del fabbisogno di energia degli USA.
Peraltro, una riduzione dell’approvvigionamento energetico dalle fonti petrolifere significherebbe stroncare la ripresa economica appena iniziata negli USA, dopo uno dei più gravi periodi di recessione economica. Figuriamoci l’Europa, che quando gli USA hanno un raffreddore si becca subito la polmonite. Eppure la stupidaggini sulle energie alternative che risolverebbero ogni problema continuano ad essere alimentate da questi moderni luddisti, anche se qualcuno di loro dai capelli grigi comincia a rendersi conto della scelleratezza della battaglie combattute una trentina di anni fa ed oggi (meglio tardi che mai) infatti concorda sulla costruzione di centrali nucleari: l’energia più abbondante, economica, efficiente e sicura.

Ma ai nipotini ecologisti non interessa avere questo genere di energia, né un ambiente più protetto. Questi sono falsi obiettivi. Loro mirano alla distruzione del capitalismo e della civiltà occidentale, e dieci, cento, mille disastri petroliferi aiutano ben più che l’odiato atomo.



Giudizio Utente: / 8

ScarsoOttimo 




Ricerca Avanzata
Aggiungi questo sito ai tuoi preferitiPreferiti
Imposta questa pagina come la tua home pageHomepage
Agorà
Lettere e Forum
Segnalazioni
Associazionismo
Comunicati
Formazione
Dagli Atenei
Orientamento
Lavoro
Concorsi
Orientamento
Impresa oggi
Link utili
Informazione
Associazionismo
Tempo libero
Utilità varie
Link consigliati
Zenit.org
La nuova Bussola
   Quotidiana
Storia libera
Scienza e fede
Il Timone
Google
Bing
YouTube
meteo
mappe e itinerari
Google Maps e
  Street View
TuttoCittà Street
  View



Questo sito utilizza Mambo, un software libero rilasciato su licenza Gnu/Gpl.
© Miro International Pty Ltd 2000 - 2005