Il magnate dell'editoria John Foster Kane, protagonista di 'Quarto potere'
Quarto potere (Citizen Kane)
di Orson Welles
USA 1941
Quarto potere di Orson Welles è uno dei film più analizzati, discussi e dibattuti della storia del cinema. Sarebbe dunque pretenzioso volerne dare una lettura nuova e originale, laddove nell’ “avventura analitica ed ermeneutica” (come la definisce Giulia Carlucci in un saggio breve titolato Monologo, soggettività e onirismo in 'Quarto potere') si sono già cimentati personaggi dalla caratura intellettuale raffinata, come Borges, Ishaghpour e Deleuze. Ogni aspetto è stato scandagliato e rielaborato in numerosi saggi: dalle musiche al montaggio, dalla fotografia alla scrittura filmica, dai riferimenti culturali ai percorsi interpretativi, nulla è rimasto senza commenti, critiche ed elogi. Ciò che mi propongo, perciò, è di ripercorrere alcuni spunti analitici che sono stati in grado di definire in maniera chiara i significati reconditi di un film oggettivamente complesso.
La trama
John Foster Kane è un magnate che ha ereditato un immenso patrimonio e decide di investirlo prevalentemente nell’attività editoriale (il “quarto potere” del titolo italiano del film, appunto, che si aggiunge ai tre poteri nei quali è tradizionalmente suddivisa la sovranità dello Stato: legislativo, esecutivo, giudiziario. Il titolo originale era Citizen Kane - Il cittadino Kane).
La madre, con grande dolore, lo aveva affidato sin da bambino a un precettore, affinché si occupasse della sua educazione e formazione culturale e lo mettesse in condizione di gestire le sue ricchezze.
Il film si apre con la scena della morte di J.F. Kane, la cui esperienza di vita sarà ricostruita dal lavoro che un giornalista svolge per il cinegiornale. Le numerose ricerche, interviste e dialoghi con testimoni diretti (amici e collaboratori, ex mogli e maggiordomi) concorrono a ricostruire la misteriosa personalità del ricco protagonista.
Alcune interpretazioni: la storia che si fa Storia
Le diverse voci narranti, la molteplicità dei punti prospettici, la complessità culturale dell’opera di Welles ha portato Borges, affascinato dalla sceneggiatura, ma spiazzato dal latente nichilismo che impregna i contenuti del film e le azioni dei personaggi, a definire l’opera un “labirinto senza centro”, poiché priva di un unico disegno, di un significato predominante.
In un intervista successiva concessa alla Rai, Borges affermò che una cosa in particolare lo aveva colpito del film: la descrizione della “grande solitudine americana”. Disse Borges:
"Gli americani si sentono molto soli e cercano di riempire il vuoto della loro vita accumulando milioni di dollari e di oggetti, ma non sanno che farsene. In realtà, non ne godono, come Kane. Quest'uomo nella sua memoria cerca continuamente il significato di un nome: Rosebud. Solo alla fine lo trova, prima di morire. È un po' come in certe opere di Victor Hugo, o di Thomas De Quincey, o di Franz Kafka".
Insomma, il giudizio su un uomo si amplia a giudizio su un’intera società, la storia narrata è un ponte verso la Storia vissuta e in continuo divenire. Ciò emerge in modo particolare se si analizza il tema del passaggio dall’infanzia di Kane all’età adulta, dopo il forzato allontanamento da casa. In qualche modo ricalca il passaggio dall’America dell’età dell’oro - quando pionieri e uomini religiosi in fuga si rifugiavano nel sogno di uno stato democratico, libero ed egualitario - all’America di Wall Street, dei mercati finanziari in espansione, del consumismo megalomane. La madre di Kane, abbandonando il figlio per prospettargli un futuro migliore, rappresenta, come sottolinea la Carlucci, “l’etica puritana del sacrificio, sacrificio di quell’America lontana e perduta”.
La controversa personalità di Kane (allo stesso tempo magnanimo e tiranno, generoso e prevaricatore, onesto ed arrivista) incarna, dunque, le complessità di un sistema sociale ed economico, quello statunitense, che non ha mai trovato un equilibrio tra principi proclamati e politiche sociali ed economiche perseguite. Insomma, i personaggi si fanno Storia, incarnano le caratteristiche di un popolo e ripercorrono l’intreccio tra aspirazioni e necessità che il decorso storico di un paese raramente riesce ad armonizzare.
Due temi cari a Welles
Mi riallaccio, per concludere, a ciò che Borges ha chiamato il “caos delle apparenze”. Questa definizione fa riferimento a due temi che Welles ha particolarmente a cuore: il primo riguarda l’impossibilità di giudicare un uomo: la sua vita, ma soprattutto le motivazioni intime e profonde che stanno dietro alle sue azioni. La difficoltà di comprendere realmente ciò che spinge una persona ad agire, le ragioni che lo inducono a ricercare l’affetto e l’amore delle persone vicine costituiscono un mondo talmente impenetrabile da non poter essere giudicato, sottoposto a processo. L’unicità di ogni vita sembra inevitabilmente legata all’impossibilità, per chiunque altro, di giudicarla. Il verità è insondabile e parziale quando interpreta i comportamenti soggettivi.
Il secondo tema, legato al primo, scorre sottopelle, senza mai affiorare nei dialoghi del film. È il tema dal quale scaturisce il pessimismo wellesiano sulla vita, legato con un doppio nodo alla corruttibilità, alla dissolubilità di ogni gesto, azione, comportamento. Sembra evidente il richiamo al libro del Qohelet laddove è scritto: Vanitas vanitatum et omnia vanitas (vanità delle vanità, tutto è vanità, Qohelet 1, 2; 12, 8). La consapevolezza della vanità del tutto si traduce, nel protagonista del film, in una profonda nostalgia per l’infanzia perduta e per un timore panico della vecchiaia, precoce e solitaria, dello scorrere fluido del tempo. Riguardo ciò non si può fare a meno di notare come Mr. Kane sia un alter ego di O. Welles: ne rispecchia i timori, le nostalgie e le riflessioni esistenziali.