Il fenomeno della globalizzazione sembra aver avuto successo soltanto nei suoi aspetti materiali: sono notevolmente aumentati gli scambi internazionali di beni, così come i flussi finanziari e la diffusione di tecnologie e servizi. Fra le critiche rivolte a questo fenomeno (crisi della sovranità nazionale, esclusione delle maggioranze povere del pianeta, incapacità nel gestire i flussi migratori cui ha dato vita, etc.), riporto quella espressa da Magdi Cristiano Allam in occasione di una conferenza tenuta presso la Fondazione Lepanto, a Roma, il 7 giugno scorso.
L’eurodeputato, già vicedirettore del Corriere della Sera, ha sottolineato il fallimento della globalizzazione nei suoi aspetti propriamente valoriali, o se vogliamo etico-spirituali. Si riferisce non solo alla mancata diffusione su scala mondiale dei valori “non negoziabili” e dei diritti dell’uomo, ma, dato ancor più preoccupante, allo smarrimento di tali valori all’interno della stessa Europa.
L’onnipresenza del mercato come principio regolatore dei rapporti tra individui e tra stati, la sovraordinazione della libertà di mercato rispetto ad alcuni importanti diritti sociali, l’assenza di una seria discussione sul preoccupante trend demografico europeo, l’abbandono, senza validi sostituti, della religione come strumento di indirizzo etico-morale, sembrano essere elementi di un tracciato che va sempre più allontanandosi dalla tradizione europea, che da lungo tempo aspira a garantire l’uguaglianza tra individui e il loro diritto ad una vita libera e dignitosa.
Nell’Europa che si apre ai flussi migratori, agli scambi culturali, sembriamo cedere sotto il peso e l’invadenza del relativismo assoluto e di quello che Magdi Cristiano Allam chiama “mercatismo”.
Serge Latouche, in un suo saggio del 1992 titolato L’Occidentalizzazione del mondo, sottolineava l’impatto deculturante che la modernità aveva avuto sul complesso delle tradizioni africane in epoca coloniale e post-coloniale. Ebbene, oggi l’Europa corre l’analogo rischio di svuotare la propria cultura, di spogliarsi della sua identità, di perdere i contatti con le radici storiche, filosofiche e religiose che gli appartengono e che per secoli hanno espresso alti valori di umanità. Oggi in Occidente il relativismo sembra essere assurto a valore sacro, costituente il momento più alto di civiltà: l’unica verità accettata è l’assenza di una verità assoluta.
Mi sembra necessario riaffermare una specificità del carattere europeo che poggi su valori saldi e ragionati, ricondurre la nostra attenzione su politiche che li riaffermino e sostanzino, sovraordinandoli rispetto all’idolo del mercatismo. E questo senza cedere alla xenofobia e al bisogno di prevaricazione culturale (spesso frutto dell’ignoranza e dell’emarginazione sociale). È questa l’unica via per consentire una reale acculturazione, uno scambio paritario di valori con i popoli migranti, che non scada in pericolosa deculturazione.
Il multiculturalismo radicale, ormai caratteristico delle società liberali aperte “cade in aporia quando incontra una civiltà chiusa non compatibile” (A.M. Bertacchini e Piersandro Vanzan, saggio pubblicato sulla rivista Studium di gennaio-febbraio 2006). La tolleranza ha ragione di esistere fintanto che non lede valori fondamentali quali il rispetto dei diritti umani, l’uguaglianza di genere e la separazione fra Stato e Chiesa.
“Ama il prossimo tuo come te stesso” è un insegnamento significativo anche perché lega l’amore per il prossimo all’amore per sé. E l’amore per sé non può prescindere dall’autocoscienza, se non al prezzo di trasformarsi in vuoto amor proprio.
Così, un popolo che non è in grado di amare sé stesso conoscendosi, sviluppando costantemente i propri valori e aggiornandoli, sostanziandoli, non può essere in grado di amare altri popoli e culture se non attraverso una retorica intrisa di buonismo paternalista. Non sto dicendo che bisogna sentirsi padroni in casa propria, relegando gli altri al permanente e scomodo ruolo di ospiti (nulla di più lontano dai valori dell’accoglienza e del rispetto della dignità umana). Dico però che bisogna avere qualcosa di profondo da offrire al di là del triste spettacolo quotidiano di un continente in stallo economico, declino demografico e in preda ad uno sconcertante vuoto valoriale.