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Politica - Notizie e Commenti
Duello Fini-Berlusconi: chi ha ragione e chi ha torto? Stampa E-mail
Il futuro del Popolo della Libertą
      Scritto da Francesco Cassani
03/05/10
Ultimo Aggiornamento: 02/08/10

La rottura tra Berlusconi e Fini si è infine consumata. Era un copione già scritto, come avevamo evidenziato nell’articolo che segue (pubblicato quando il dissenso era esploso), spiegando che il vero scontro era sugli spazî di potere decisionale.
Non essendosi ricreato un clima di fiducia interna al Pdl, era ovvio che Fini non poteva aspettare le prossime elezioni politiche per essere definitivamente emarginato. Per cui ha innescato una “strategia della tensione”, in cui ha rappresentato le sue istanze - anche di buon senso - in maniera provocatoria: lo scopo era proprio quello di indurre Berlusconi ad assumersi la responsabilità di rompere, e preparare un nuovo partito.
Lo sviluppo del quadro politico, ovviamente, è incerto:
la maggioranza avrà problemi di tenuta? I voti mancanti potranno essere compensati da altri parlamentari, o si andrà alle elezioni anticipate?
La rottura è avvenuta troppo presto per i disegni di Fini, che in caso di elezioni anticipate potrebbe non avere il tempo di costruire una nuova forza (Fini ha spesso dimostrato di essere ottimo tattico, ma pessimo stratega)? Oppure è stato Berlusconi a forzare incautamente i tempi, sottostimando il numero di parlamentari che avrebbero seguito Fini?
Di fronte all’opinione pubblica, il giochino di voler lasciare il cerino della rottura in mano a Berlusconi servirà a qualcosa a Fini? E il Cavaliere, di contro, potrà andare avanti all'infinito denunciando di avere le "mani legate" da avversari e "traditori" interni?
Ad ogni modo, la spaccatura del Pdl ci sembra un’ulteriore conferma della precarietà del bipolarismo all’italiana fondato sui partiti-calderone.


Gianfranco Fini, “co-fondatore” del Pdl, ha formalizzato il suo dissenso nella conduzione del partito da parte di Silvio Berlusconi, e ha deciso di costituire una minoranza interna.

Il contrasto è divenuto visibile, plasticamente drammatico, con lo scontro nella Direzione nazionale del Pdl tenutasi il 22 aprile.

I giudizî su questa situazione sembrano purtroppo espressione, in gran parte, di uno scontro tra tifoserie.

I “berlusconiani” accusano Fini di non accettare la leadership del Cavaliere, e di voler mettere a rischio – per un’ambizione personale – il Governo e il programma votato dagli elettori.

I “finiani” capovolgono l’accusa: è Berlusconi che è un leader antidemocratico, che per garantire se stesso sacrifica il programma e l’identità del Pdl alla Lega.
In soccorso dei finiani accorrono gli oppositori di Berlusconi di vario orientamento politico.

La verità sta da una parte sola?

E, soprattutto: i ‘contendenti’ dicono tutta la verità?

La questione è stata sollevata dal presidente della Camera, Gianfranco Fini. Esaminiamo dunque i suoi argomenti.

Fini sostiene, innanzitutto, che il Popolo della Libertà sta lasciando troppo spazio alla Lega.
Sui decreti attuativi del federalismo fiscale è stata data una delega forte a Bossi e Calderoli, senza che si sia aperto un dibattito vero su quale federalismo vogliamo.
Alla Lega è stato dato troppo spazio politico (due presidenze di due importanti Regioni), indebolendo il Pdl al Nord.
Sull’altare dell’alleanza con la Lega si è accantonata un’importante promessa elettorale come l’abolizione delle Province, considerate enti costosi e poco utili, eppure difese dai leghisti che in esse hanno importanti centri di potere locale.

Queste “accuse” non trovano obiezioni convinte negli osservatori politici, e sembra nemmeno nei berlusconiani. I quali rispondono che la Lega è un alleato fedele, e che il Pdl al Nord resta il primo partito.
Questa difesa, però, sembra un’indiretta conferma delle tesi del Presidente della Camera. Sembra quasi si dica: “sì, è vero, stiamo dando spazio alla Lega, anche se bisogna ricordare che …”.

Insomma: non solo la Lega fa legittimamente i suoi interessi, che sono quelli di crescere come consensi e influenza. Ma il Pdl sembra favorirla, senza inserire nell’alleanza una sufficiente dose di competizione.
La discussione, casomai, è se lo spazio lasciato alla Lega sia davvero "troppo". 

Perché Berlusconi ha un patto di ferro con la Lega?
La motivazione ufficiosa, al di là delle cerimonie sulla "fedeltà" (che Bossi non aveva dimostrato nel 1994...), è quella che la Lega è un alleato determinante con tutti i sistemi elettorali che hanno una forte connotazione locale (sistemi uninominali, o l'attuale premio di maggioranza regionale al Senato). Ma basterebbe cambiare legge elettorale...
Fini non lo dice esplicitamente (lo fanno capire alcuni suo sostenitori), ma la condiscendenza di Berlusconi verso la Lega sarebbe dovuta al fatto che il Cavaliere considera Bossi un alleato che lo sostiene senza discussioni nelle vicende giudiziarie.

Fini parla anche della questione giustizia, riconoscendo che Berlusconi è stato oggetto di accanimento giudiziario, dicendosi disponibile a sostenere il lodo Alfano in versione costituzionale e una riforma dell’ordinamento giudiziario, ma invitando a non forzare la mano, a “non dare l’impressione che si vogliano difendere sacche d’illegalità”.
Sostenere che “non bisogna dare l’impressione” è un modo elegante per dire che, a suo avviso, alcune proposte (come la “prescrizione breve”) rischiavano davvero di creare tali sacche d’illegalità.

Anche qui, ci sembra che le accuse di Fini – che sono di tenore ben diverso da quelle della sinistra giustizialista - trovino condivisione in larga parte dell’opinione pubblica moderata, in forma più o meno aperta.
Molti sostenitori del Cavaliere, infatti, sussurrano: “Sì, è vero, Silvio esagera nel cercare leggi e leggine per difendersi dai suoi processi. Però è l’unico baluardo contro lo strapotere della sinistra e delle sue oligarchie, legate a spezzoni di magistratura politicizzata. Dobbiamo accettare che si difenda dalle accuse anche con qualche forzatura. Se c’è qualche ‘effetto collaterale’ negativo rispetto alla difesa della legalità, si tratta di effetti provvisorî”.

Tra gli argomenti politici che lo dividono da Berlusconi, Fini ha però taciuto – nella polemica più recente – i temi su cui ha preso le posizioni più spiazzanti negli ultimi anni: bioetica, laicità, immigrazione.

Le posizioni di Fini su questi temi hanno “spiazzato” gli osservatori, perché esprimono un radicale ripensamento rispetto a qualche anno fa. E, soprattutto, hanno spiazzato gli elettori di centrodestra, che in larghissima maggioranza non condividono le uscite di Fini, e quindi si sentono più rappresentati da Berlusconi.

I critici di Fini lo hanno accusato di aver assunto posizioni nuove per opportunismo, per accreditarsi come leader “moderno” anche a sinistra (o presso certi "poteri forti"), e spianarsi la strada come “riserva della Repubblica”.
Anche a voler credere alla buona fede – e quindi ad una sincera evoluzione di pensiero – dell’ex leader di An, bisogna rilevare che un po’ di opportunismo è emerso in questi giorni, allorché ha messo la sordina ai temi su cui si sentiva più isolato.

Ma gli argomenti politici sin qui esposti sono solo la superficie dello scontro tra Fini e Berlusconi.

Il vero scontro è sugli spazî di potere decisionale.

Fini non lo ha detto apertamente (ha preferito mandare in avanscoperta i suoi uomini, come Italo Bocchino), per non esporsi a giudizî negativi, come quello di essere persona “invidiosa” o “attaccata al potere”.
Intendiamoci: si tratta di giudizî in parte ingenui, perché è ovvio che chiunque abbia idee da difendere voglia conquistarsi gli spazî per difenderle meglio. E Berlusconi, in questo, non si fa pregare.
Fini, però, non ha voluto esporsi troppo su questo versante.

Eppure il nodo sta proprio qui: il co-fondatore del Pdl, colui che ha portato in dote un partito (Alleanza Nazionale) del 12%, si sente messo da parte.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è che in una delle “cene di Arcore” tra Berlusconi e i vertici della Lega è stato raggiunto l’accordo su una bozza di riforma costituzionale, presentata poi al presidente della Repubblica Napolitano senza che Fini ne fosse messo a conoscenza. Ma gli episodî di questo tipo sono numerosi.
Berlusconi, peraltro, nella Direzione del 22 aprile, ha cercato platealmente di umiliarlo, salutandolo come “co-fondatore del Pdl, al pari di Rotondi e Giovanardi”.

I finiani accusano Berlusconi di non essere democratico.
E su questo hanno di nuovo, con tutta evidenza, ragione. Berlusconi non si sottopone mai alle decisioni degli organi di partito (eletti peraltro con il suo consenso); casomai, a volte, si lascia convincere.
Gli stessi berlusconiani ammettono questo stato di cose, parlando di “partito carismatico”, giustificando il “cesarismo” di Berlusconi, facendo capire che “dopotutto agli elettori che votano Pdl va bene così”. O ancora denunciano la “mancanza di gratitudine” di chi è stato sostenuto in diversi momenti da Berlusconi (e diviene un “ingrato” o un “traditore” se assume posizioni autonome). O infine segnalano che la scarsa democrazia è appannaggio di quasi tutti i partiti italiani, che sono oligarchici (come il Pd) o, in diversa misura, leaderistici (Lega, Udc, Italia dei Valori).

Non ci dilunghiamo nel contestare le tesi berlusconiane su questo aspetto.
Tralasciamo i discorsi stucchevoli sulla “gratitudine” (in politica si deve lealtà, non gratitudine; e Berlusconi non ha mai regalato niente a nessuno, ma solo fatto le concessioni di volta in volta necessarie).
Quello che bisogna sottolineare è che la democrazia interna dei partiti è un requisito ineliminabile della democrazia complessiva di un Paese.
Possiamo dire che i voti raccolti dal vecchio Partito Comunista lo rendevano democratico? O non era possibile già allora rilevare che un partito privo di democrazia interna (anche se amava chiamare la sua organizzazione verticistica “centralismo democratico”) costituiva una minaccia per la democrazia italiana?
Si aggiunga che gli elettori, in un sistema politico marcatamente bipolare, hanno un’offerta politica ridotta. La democrazia interna – requisito fondamentale di ogni partito (non solo il Pdl), in ogni sistema – diventa col bipolarismo ancor più necessaria, per evitare che i voti siano dati al “meno peggio”.

Bravo Fini difensore della democrazia, dunque?

Non proprio.

Fini sapeva benissimo qual era la concezione politica di Berlusconi, quando ha accettato di confluire nel Popolo della Libertà, di legarsi mani e piedi ad un altro leader che avrebbe deciso i destini politici suoi e dei suoi amici.
Si tratta delle considerazioni che hanno spinto Casini a non accettare la confluenza nel Pdl. Anche Fini poteva sottrarsi: Berlusconi non avrebbe mai potuto rinunciare ad un accordo con Alleanza Nazionale. Eppure il leader di An preferì ritagliarsi un futuro da “delfino”, da erede al trono. Aveva ricevuto promesse in tal senso dal Cavaliere?

Oggi versa lacrime di coccodrillo, perché si accorge che se Berlusconi non cede lo scettro lui è in un vicolo cieco.
Col passare del tempo avrà sempre meno voce in capitolo nelle decisioni che contano, sia a livello nazionale sia a livello locale, e quindi un numero sempre minore di dirigenti politici farà riferimento a lui.
Alle prossime elezioni, poiché le candidature le decide il Presidente del partito, non potrà più indicare suoi candidati, ma si troverà solo: un peone come tutti gli altri.

Il tempo stringe: se Fini vuole conservare la sua autorevolezza politica (è il leader con la percentuale di fiducia più alta, e i sondaggi danno ad un suo nuovo partito ancora il 6%) deve agire adesso.
Per ora ha scelto di non fare gesti di rottura defnitiva (nuovi gruppi parlamentari, nuovo partito): un po' per non fare completa marcia indietro rispetto ad un progetto che lui stesso ha contribuito a creare e che gli elettori hanno votato; un po' per creare le condizioni per cui, agli occhi dell'opinione pubblica, è Berlusconi a rompere; un po' perché il suo seguito sembra inferiore alle aspettative.
Ancora una volta, però, la sua strategia non è chiara.

Inoltre, è lecito domandarsi: Fini difende davvero la democrazia interna del Pdl? O reclama soltanto maggiore considerazione per sé?
La sua componente sarebbe disposta, al termine di ogni dibattito sui diversi argomenti, ad uniformare il suo voto parlamentare alle decisioni della maggioranza del partito?

A Fini viene anche mossa l'accusa di voler recitare un ruolo di protagonismo politico incompatibile con un'alta carica istituzionale come quella di Presidente della Camera dei Deputati.
Questa critica è fondata: la terza carica dello Stato dovrebbe essere e apparire al di sopra delle parti, come accadeva nella "Prima Repubblica" (Fini si appella ad un precedente un po' debole, quello della Iotti che continuava ad intervenire nella direzione del Pci).

Nella critica a Fini, però, c'è anche una certa dose di ipocrisia, almeno se a muoverla sono i berlusconiani; i quali non vogliono più Fini presidente della Camera, perché in quel ramo del Parlamento - dove la maggioranza a volte non ha tenuto a causa delle assenze dei deputati - vorrebbero un Presidente più incline a guidare i lavori in senso a loro favorevole.
La "Seconda Repubblica" ha visto la nuova e pessima consuetudine delle maggioranze di governo di eleggere al proprio interno i Presidenti di entrambi i rami del Parlamento, caricandoli di un'impropria connotazione politica.

Il presidente del Senato Schifani ha dichiarato: "Dinnanzi alla prospettiva di un sistema correntizio nel partito non vedrei male l'ipotesi che Fini lasci Montecitorio ed entri nel Governo". Prospettiva coerente con la richiesta che venga rispettata la neutralità delle cariche istituzionali.
Ma siamo sinceri: Berlusconi accetterebbe tra i suoi ministri uno che esprime distinguo politici? O lo sfiducerebbe alla prima occasione?

Proviamo a formulare alcune considerazioni finali sul possibile futuro del Pdl (e sul ruolo dei suoi leader).

Il Pdl, se vuole essere qualcosa di diverso da Forza Italia, se vuole essere un partito nazionale solido e con un futuro, deve accettare la democrazia interna, ed anche lo scontro. Non bisogna aver paura del pluralismo, che non può essere sacrificato in nome di una “unità” posticcia, fatta di persone obbedienti che confidano nei favori del capo. L'unità - doverosa - in termini di compatezza di voto parlamentare può e deve essere raggiunta al termine di un confronto negli orgni di partito.
Lo scontro in Direzione nazionale a noi è sembrato un momento di energia democratica, non un “triste spettacolo” (peraltro, se a qualcuno non è piaciuta la platealità del confronto, la responsabilità non va ascritta al “traditore” Fini, ma a Berlusconi, che ama personalizzare lo scontro politico, e ha già scelto questo tipo di toni accesi – ad esempio – con Della Valle al convegno di Confindustria a Vicenza il 18 marzo 2006).

Fini potrebbe esercitare un ruolo positivo in questa direzione, anche se questo ruolo potrebbe consistere in un’eterogenesi dei… fini (è proprio il caso di dirlo), cioè in un'evoluzione che prescinde dai tatticismi spesso miopi del Presidente della Camera.
In attesa del giorno in cui questi deciderà finalmente una strategia chiara, dentro o fuori il Pdl, e la difenderà coerentemente.

Berlusconi potrebbe darsi un profilo politico diverso se cessasse di confidare solo nel suo carisma, e si convincesse a valorizzare il coinvolgimento democratico dei suoi militanti.


P.S.: Fini e Berlusconi, con il loro atteggiamento che ha condotto alla frattura, sembrano avere rinunciato all'obiettivo di dare un futuro al Pdl nei termini da noi auspicati.



Giudizio Utente: / 9

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