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Notizie - Attualità e Costume
Addio Giuseppe. Ecco i nomi senza santi in paradiso Stampa E-mail
I genitori d’oggi come scelgono i nomi per i loro figli?
      Scritto da Carlo Carena
24/01/10

A leggere le cronache dei giornali, nell’incontrare giovani amici, si rimane spesso stupiti udendo i loro nomi. Il vecchio Martirologio è quasi scomparso, scomparsi il Battista, Gioacchino, Giuseppe.
Sembrano resistere i primi tre Evangelisti, ma i Dottori sono inabissati ignominiosamente assieme all’immensità delle loro opere: chi più si chiama Agostino come il Carracci, Ambrogio come il sagrestano di Pescarenico («Correte, Ambrogio! aiuto! gente in casa…»)?
Chi ha la sventura di chiamarsi Gerolamo o Geremia corre a rifugiarsi sotto Jerry.

Altrettanto è avvenuto delle pie donne che pur figurano ai primi posti nelle litanie dei santi e addirittura nel canone della messa, Anastasia è solo un ricordo della Rivoluzione russa e del film con Ingrid Bergman; Filomena vergine e martire romana quindicenne delle catacombe di santa Priscilla, veneratissima dal Curato d’Ars, non si giova nemmeno della soavità del suo nome che evoca in greco quello dell’usignolo; non parliamo poi di Perpetua, protagonista con Felicita degli strepitosi Atti dei martiri di Cartagine, ma anch’essa inchiodata nei Promessi sposi assieme al suo padrone, a padre Cristoforo e al confratello Zaccaria, alla monaca di Monza e alla moglie di don Ferrante, al cugino Bortolo e al compare Gervaso… Chissà che ne è anche dei «nomi classici e preclari Spartaco Antenore Furio Fabio Amilcare» della poesia di Luciano Erba I miei compagni , nomi imposti ai figli dai padri socialisti «per far dispetto a preti e catechisti».

Ad attrarre [oggigiorno] sono gli epiteti esotici e altisonanti, persino di oggetti e di cose come si usava in tempi primitivi e pagani ormai lontani, o suoni vellutati senza alcun senso apparente o con un senso completamente perduto, mentre nessun nome alla sua origine mancava di un senso preciso e percepibile, di un richiamo o di una qualità auspicata in chi lo portava: quante Sare sono delle «principesse», quante Debore sanno di dover essere dolci come «api». Non stiamo a riportarne altri, sono nell’esperienza giornaliera e nelle orecchie di tutti, superando ogni immaginazione e ogni precedente stupore. (Accade anche che i genitori cerchino di scegliere un nome che abbia un “senso”, compulsando i “Dizionarî dei nomi”: il rischio è che venga scelto un nome che ha un senso occasionale, astratto, slegato dal vissuto delle famiglie e delle persone. Ndr)

Nomi senza nessun riferimento, senza nessun collegamento, nessuna storia, nessuna esperienza alle spalle, nessun santo in cielo. Che non evocano nulla se non passeggeri divi dello spettacolo, personaggi di mediocri romanzi, protagonisti di vicende piccanti ed esecrabili. Sùbito appena si viene al mondo si è sbalestrati dentro un gotha inesistente, in una marea in realtà anonima, immediatamente prede della moda, flatus vocis e nulla più, possibili oggetti di analisi sociologiche o di curiosità glottologiche. Non si cerca più il significato simbolico, il valore storico o mistico, l’indicazione morale. Gli altri, quei grandi nomi di beati, nelle vecchie pale degli altari sotto i pesanti piviali o con i simboli dei loro martirî e della loro gloria, in vesti di frati e di monache, di regine o di pellegrini, non si raccapezzano più nella loro beata ignoranza.

Può sembrare, questo, e fors’anche è un discorso frivolo. Ma il fenomeno è uno dei tanti significativi di un disagio. La cancellazione della memoria soprattutto da parte e nei giovani nasce da un giudizio severo e dal rifiuto di un passato inespressivo, se mai espressivo di valori, esemplari, strumenti di vita risibili o orrendi. Si vuol cancellare tutto questo e ripartire da zero. Non è detto che andrà meglio. Ma tant’è. Ogni generazione vuole fare e vuole, deve sperare di riuscire nella sua prova, anche in questa strisciante gigantesca rivoluzione di cui tutto ci parla, il quotidiano non meno dei moralisti e degli scienziati.


Pubblicato su Avvenire

P.S.: Tra i nomi della tradizione “ripudiati” nell’onomastica moderna dobbiamo ricordare, oltre a quelli citati da Carlo Carena nel suo articolo, quelli dei santi patroni delle diverse città (un tempo il nome esprimeva anche un’orgogliosa appartenenza geografica e culturale), nonché quelli derivati – soprattutto nel Sud - da appellativi della Madonna (Carmela/o, Carmine, Rosario/a, Concetta/o, Immacolata).
Quanti genitori cristiani, poi, si preoccupano che il nome del figlio sia quello di un santo di cui prendere a modello la vita e invocare la protezione? Quanti festeggiano ancora l’onomastico?
In calo anche la tradizione di impartire il nome dei nonni (o un nome di famiglia), che voleva esprimere il riconoscimento che un bambino non nasce a caso, ma è frutto dei sacrifici e del dono di amore di una comunità familiare estesa.
Insomma,  la moderna giustificazione nella scelta dei nomi (“suona meglio”) sembra contraddetta dai fatti: è molto discutibile che un suono duro come Kevin possa essere considerato più gradevole di Antonio. Così come la scelta di un nome con un “significato” sembra sovente un modo per darsi un tono, un augurio, un sogno. Quantomeno ingenuo, poi, il metodo di far scegliere il nome al fratellino più grande: il quale sceglierà il nome di un compagno d’asilo, alimentando semplicemente una tendenza del momento.
Ci sembra evidente, piuttosto, che la reale motivazione di questa moda iconoclasta vada ricercata – consapevoli o no i genitori che impartiscono i nomi – in una venatura anticristiana (o post-cristiana), oltre che antistorica e antifamiliare.



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