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Economia - Notizie e Commenti
La saga degli Agnelli (e dei Berlusconi) Stampa E-mail
Le vicende ereditarie delle "grandi famiglie" e il destino dei loro imperi economici
      Scritto da Giovanni Martino
07/09/09
Ultimo Aggiornamento: 25/03/13

Gianni AgnelliLe saghe delle “grandi famiglie” (reali, nobiliari, imprenditoriali) appassionano da sempre l’opinione pubblica.
Questo interesse è certo dovuto al gusto del pettegolezzo sui personaggi famosi, pettegolezzo ancora più affascinante se assume i connotati dell’intrigo; l’uomo comune prova spesso un sottile piacere, che magari assume i connotati della piccola rivalsa psicologica, quando osserva nei “grandi” le debolezze comuni a tutti.

Ma l’interesse è anche giustificato dalla profonda incidenza che le vicende di alcune dinastie possono avere nella vita politica ed economica di un Paese.

Un interesse particolarmente rilevante, nelle grandi famiglie, è rivolto alla vicenda successoria. Il problema della successione, in questi casi, non è solo quello di un’equa spartizione di un patrimonio; il problema, nell’ottica di chi detiene quel patrimonio, è soprattutto di conservarlo il più possibile integro, senza spezzettarlo.

Nei grandi patrimonî fondiarî, ad esempio, dividere il patrimonio significava intaccare il potere economico e sociale che ne derivava alla famiglia. La divisione era poi quasi impossibile per i regni (anche se a volte si giunse a questa soluzione) e, più di recente, per le imprese economiche, che hanno bisogno di una guida unica.

Il dilemma che si è sempre posto ai fondatori (o agli eredi) di un impero, di una fortuna economica, è stato dunque: sacrifico l’opera della mia vita (del mio lavoro, del mio ingegno, della ma eredità, del mia capacità di... ‘trafficare’) per assicurare pari trattamento ai miei figli? Oppure scelgo tra loro uno che tramandi e accresca quest’opera, garantendo agli altri un futuro comunque di agiatezza, seppure in secondo piano?

Quasi sempre è stata scelta la prima strada, imposta in passato finanche dal diritto:  con le leggi di successione dinastica, per i regni; o con la “legge del maggiorasco” (in alcuni Paesi “del minorasco”) per trasmettere titoli nobiliari maggiori e patrimonio ad un solo figlio.

Questa esigenza di potere delle grandi famiglie si è venuta però a scontrare, a partire dal Settecento, con le nuove esigenze economiche e commerciali di mobilità dei capitali, che portarono progressivamente a vietare la legge del maggiorasco (come anche a introdurre le imposte di successione). A queste esigenze economiche si aggiunse la considerazione dell’uguale dignità dei figli, con la progressiva abolizione del diritto di diseredare e con la determinazione del diritto di ciascun figlio ad una quota del patrimonio ereditario (quota “legittima”).

Nelle grandi famiglie imprenditoriali si è cercato di conciliare queste nuove norme con l’esigenza di unità nella direzione aziendale, mediante il frazionamento del capitale: una quota maggiore a chi era designato a guidare l’azienda.


La “famiglia reale” italiana: gli Agnelli

Se pensiamo ad una grande famiglia imprenditoriale nel nostro Paese, pensiamo senz’altro agli Agnelli. Le cui vicende sono tornate agli onori della cronaca proprio per motivi di successione (la relativa regolazione è stata contestata dalla figlia di Gianni, Margherita) e fiscali (si sospetta un grosso occultamento di patrimonio, legato anche alle esigenze successorie).

La fortuna degli Agnelli è stata costruita da Giovanni Agnelli, il nonno del Gianni che tutti abbiamo conosciuto e recentemente scomparso. Giovanni Agnelli senior – se così possiamo distinguerlo dal nipote – era un proprietario terriero che sul finire dell’Ottocento (nel 1899, per la precisione) decise di investire i suoi capitali nella meccanica e nelle nascenti applicazioni alla motorizzazione e all’automobilismo, fondando la Fabbrica Italiana Automobili Torino.

Giovanni Agnelli muore nel 1945. La sua successione alla guida della FIAT (ormai divenuta un impero industriale) non fu accompagnata da contestazioni. Prematuramente scomparsi i suoi due figli, Aniceta ed Edoardo, a prendere le redini FIAT fu designato il primogenito maschio di Edoardo, Giovanni (Gianni).

Gianni, laureatosi in legge (e per questo appellato come l’Avvocato per antonomasia, anche se non esercitò mai la professione forense), per oltre vent’anni preferì viaggiare e condurre vita mondana, lasciando la guida effettiva dell’azienda a Vittorio Valletta, che l’aveva diretta già col nonno. Per sé Gianni conservò ruoli di rappresentanza, restando ovviamente il maggiore azionista.

Nel 1966 l’Avvocato prese in mano la conduzione effettiva dell’Azienda, e la tenne fino alla sua morte, nel 2003. I giudizi sul suo operato sono contrastanti; ma resta il fatto che ai suoi eredi ha lasciato un impero economico e finanziario (non limitato alla produzione automobilistica) ancora intatto, seppure con grosse sofferenze finanziarie.


La successione all’Avvocato

La sua successione è stata più controversa di quella del nonno. Anche lui ha perso tragicamente il figlio Edoardo, suicida nel 2000, che non si era sposato e non aveva figli. L’altra figlia, Margherita, sposatasi due volte e con otto figli, non ha mai avuto interesse ad un impegno diretto nell’imprenditoria.

Il problema della successione, a dire il vero, si era posto già prima della morte del figlio, con cui Gianni aveva un rapporto tormentato. Edoardo manifesta una personalità complessa e ribelle: ha interessi mistico-religiosi eccentrici (santoni indiani, islamismo sciita, astrologia), è critico verso il capitalismo, non è attratto dalla vita aziendale. Anche se in un’intervista rilasciata a L’Espresso nel 1986, la stessa che scatena le furie dell’Avvocato perché lancia alcune accuse velate a manager del gruppo, Edoardo nega di non essere disposto ad assumersi le “responsabilità del gruppo”.

A metà degli anni Novanta, non essendo scontata la sua successione ‘naturale’ alla guida dell’impero, l’Avvocato è sollecitato dai suoi consiglieri a designare un successore. La scelta viene effettuata nell’aprile del 1996, e cade sul maggiore dei nipoti diretti maschi: il giovanissimo (all’epoca aveva 19 anni) John Elkann, detto Jacki, figlio di Margherita e del suo primo marito Alain Elkann.

A dire il vero, per un periodo era sembrato all’esterno che successore designato fosse un altro nipote di Gianni (figlio del fratello Umberto), Giovanni Alberto detto “Giovannino”, che aveva già dato prova di abilità imprenditoriali risollevando le sorti della Piaggio. Ma questa designazione non era mai stata sancita ufficialmente. Giovannino morirà per un tumore fulminante nel dicembre 1997: oltre un anno e mezzo dopo l’investitura di Jacki...

Come avvenne la scelta di Jacki?

Molti particolari sono raccontati da Gigi Moncalvo in una serie di articoli apparsi su Libero, che raccolgono la versione dei fatti di Margherita Agnelli. La figlia dell’Avvocato negli ultimi mesi ha reso pubblico il suo malcontento sulla regolazione successoria del padre, anche con una denuncia alla magistratura. La sua versione è certo di parte, ma riveste notevole interesse l'abbondante documentazione resa pubblica.

Dunque. Il segreto delle moderne società di capitali è detenerne il controllo avendo la maggioranza delle azioni senza avervi investito la maggioranza del capitale. Questo avviene mediante il meccanismo delle “scatole cinesi”: detengo la maggioranza di azioni di una società non in prima persona, ma mediante un’altra società; di cui non ho il 100% del capitale, ma – ancora – solo la maggioranza; e anche questa società di controllo non è partecipata direttamente, ma mediante un’altra società...

Gianni Agnelli aveva il 99,9% della “Dicembre” Società semplice, cassaforte del gruppo FIAT posta al vertice della catena. Questa società, infatti, ha il controllo - con il 32% delle quote - della “Giovanni Agnelli & C.” Società in accomandita per azioni; la quale detiene il 52% della Exor (nata dalla fusione di IFI e IFIL), che a sua volta detiene il 30% della FIAT.

Nel 1996 l’Avvocato, mediante un aumento di capitale, suddivide il pacchetto di controllo della Dicembre in quattro parti uguali (ognuna del 25%). La sua intenzione, probabilmente, era di trattenere per sé un 25%, e donare le restanti parti - conservando l’usufrutto vitalizio - ai figli Edoardo e Margherita e al nipote John. Nei patti sociali viene inserita anche una clausola, che verrà sottoscritta da tutti i soci, in base alla quale i poteri di amministrazione, alla morte di Gianni Agnelli, passeranno al nipote John.

Edoardo, però, pur non sposando la logica imprenditoriale di famiglia, aveva sempre sofferto del rapporto tormentato col padre. E vedere sancito ufficialmente che lui è solo l’erede di una porzione economica, ma non della guida del gruppo, lo manda su tutte le furie. Cosicché rinuncia alla sua quota. Margherita accetta con qualche malumore: vede promosso ad “erede al trono” il suo primogenito; ma vede messi in secondo piano gli altri figli.

Con la rinuncia di Edoardo, Gianni trasmette alla moglie Marella la quota che era destinata al figlio. La suddivisione effettiva sarà: 25,38% all’Avvocato, 24,87% ciascuno a Marella, Margherita e John (quote sottoposte all'usufrutto dell'Avvocato).

Nella Dicembre una partecipazione simbolica di un'azione è posseduta anche da Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens, storici consiglieri dell'Avvocato, nonché dalla figlia di Grande Stevens, Cristina, e da Cesare Ferrero.
I quali hanno però un ruolo niente affatto simbolico: quello di "garanti". Un’ulteriore clausola rivelata dal Il Sole 24 Ore, infatti, esclude che nei poteri autonomi di amministrazione riconosciuti a John rientri quello di vendere quote e variare gli assetti azionarî di società del gruppo. Per questo tipo di operazioni John avrà bisogno del consenso della maggioranza dei garanti.

Con la morte dell’Avvocato, la sua quota nella Dicembre non si trasmette agli eredi ma, per statuto, si consolida nel patrimonio sociale. Il quale, dunque, resta diviso tra i tre eredi. All’apertura del testamento, Marella dona gran parte del suo terzo di azioni al nipote John, che giunge così a detenere il 58,7%. A Marella resta una quota del 3,8%, a Margherita una del 37,5%, comprensiva della compensazione per il consolidamento (tale quota sarà ceduta da Margherita alla madre con l’Accordo transazionale del 2004, di cui parleremo fra poco).


Il mistero del presunto patrimonio “occultato”

Margherita Agnelli non è mai stata interessata alla guida imprenditoriale del gruppo. E non ha contestato apertamente l’idea che a questo ruolo fosse designato il figlio. Aspirava però ad una ripartizione dei cespiti economici che riconoscesse maggiori benefici per sé e per gli altri sette suoi figli.

Per quanto riguarda la trasmissione dei beni di famiglia, Gianni Agnelli aveva redatto – in momenti diversi – tre schede testamentarie, che riguardavano però solo alcuni beni immobili di Villar Perosa, Torino e Roma, con accessorî e pertinenze. La nuda proprietà – in forma di legato – viene lasciata ai figli Edoardo e Margherita, l’usufrutto vitalizio alla moglie Marella (con l’eccezione di Villa Sole a Torino, dove abitava Edoardo, lasciata interamente allo stesso).

L’assenza di altre volontà testamentarie che nominino altri eredi condurrà, per la totalità dei beni di proprietà di Gianni Agnelli, ad una successione “intestata” agli eredi legittimi: la figlia superstite Marella (alla morte dell’Avvocato, Edoardo si era già suicidato) e la moglie Marella. Con l’eccezione del famoso 25% della Dicembre già donato a Jacki.

Margherita e Marella sono dunque eredi del patrimonio. Sì, ma... qual è questo patrimonio? Margherita affronta garbatamente il tema col padre prima della sua morte; l’Avvocato la invita ad acquisire informazioni presso i suoi due principali uomini di fiducia: Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens. Ma i due tergiversano.

Alla morte dell’Avvocato, alle schede testamentarie non è accluso nessun inventario degli altri beni. Che fine hanno fatto gli appartamenti e le ville a New York, Saint Moritz, Parigi, in Corsica...? E gli arredi, i preziosi, le collezioni d’arte custoditi in quegli immobili? Sono ancora intestati all’Avvocato, oppure sono stati intestati a società? E a chi sono riconducibili queste società?

Il sospetto di Margherita è che esistano beni personali di Gianni Agnelli occultati in sede di successione, riconducibili a società del gruppo FIAT e di cui quindi verrebbe ad avere il controllo effettivo il figlio Jacki. Questi beni sarebbero stati occultati, nell’ipotesi di Margherita, per consentire a John di mantenere il controllo di un impero che oltrepassava la quota di “disponibile” che gli poteva essere trasmessa per via ereditaria. Inoltre, l’occultamento poteva consentire di evadere parte delle imposte di successione (in quel momento tale imposta non era ancora stata abolita dal Governo Berlusconi).
Sempre che non esistano beni sottratti al controllo dello stesso Jacki....

Margherita torna alla carica con Gabetti e Grande Stevens, i quali le rispondono rassicurandola che viene eseguita la volontà dell’Avvocato, il quale ha designato come “erede al trono” il nipote John. Ma Margherita non si accontenta di queste rassicurazioni generiche: vuole aver cognizione precisa del patrimonio ereditario. L’avv. grande Stevens dà disposizioni al commercialista Gian Luca Ferrero di trasmettere  la consistenza dell’asse ereditario, nel quale però risultano solo beni italiani.

La parola, quindi, passa agli avvocati (per ora mediante scambi epistolari).

Margherita entra in collisione con la madre Marella e con lo stesso figlio Jacki.
Marella e Jacki negano che vi siano beni occultati, e sospettano che Margherita sia mossa da ingordigia e sia sobillata dal secondo marito, il conte Sergio de Pahlen (Marella, in una lettera, la nomina algidamente la figlia come “signora de Pahlen”), che vuole anteporre gli interessi dei suoi figli a quelli di un figlio di primo letto di Margherita qual è Jacki, nonché agli interessi del gruppo industriale.
Margherita, di contro, accusa Gabetti e Grande Stevens di aver “manipolato” la madre e il figlio. E di aver già indotto in precedenza il padre a far fuori dalla successione Edoardo.

I sospetti di Margherita sono alimentati dalla scoperta di una misteriosa Fondazione Alkyone, con sede in Liechtenstein, di cui erano fiduciarî Gabetti e Grande Stevens (oltre ad un nuovo e più giovane fiduciario di casa Agnelli, il commercialista svizzero Siegfried Maron), e alla quale faceva capo il patrimonio estero di Gianni Agnelli.


L’Accordo transazionale e il nuovo scontro

A fine 2003 tra Margherita e Marella si cerca un riavvicinamento. Margherita nomina una serie di consulenti tecnici, ai quali le persone di fiducia della madre forniscono una serie di informazioni sul patrimonio ereditario. Nel desiderio di raggiungere la pace familiare, le due donne si risolvono ad un compromesso, e il 18 febbraio 2004 firmano un “Accordo transazionale”, il cui contenuto è stato diffuso il 15 luglio di quest’anno dal Corriere della Sera.

A Margherita vanno in piena o in nuda proprietà Villa Frescot (il palazzo vicino al Quirinale), la residenza di Villar Perosa, altri immobili, società off-shore, azioni, collezioni d’arte. Riceverà inoltre un pagamento da 109 milioni di euro (Jacki, intervistato da Dario Di Vico sul Corriere della Sera del 3 luglio 2007, aggiunge sibillinamente che la madre “ha ottenuto molto, ma molto di più”).

In cambio, Margherita cede alla madre la sua quota nella Dicembre e le riconosce un vitalizio il cui importo corrisponderebbe (ma sul documento pubblicato c’è un omissis) a 7,7 milioni di euro l’anno. E, soprattutto, rinuncia ad avanzare alcuna pretesa su “eventuali donazioni” effettuate dal padre a terzi beneficiarî, “chiunque essi siano”. Insomma, Margherita sembra accettare l’accordo anche nell’ipotesi che sia restata qualche zona d'ombra nel patrimonio ereditario.

In seguito, Margherita cambierà idea.
Forse perché si rende conto che il pagamento da 109 milioni di euro è stato disposto a suo favore da un misterioso conto presso la sede di Zurigo della Banca Morgan Stanley, che non si sa da chi sia movimentato. Forse perché qualcuno le suggerisce che l’opa della Giovanni Agnelli Sapaz su Exor, nel 1998, possa aver celato una gigantesca produzione di liquidità. E questi elementi le fanno presagire che il patrimonio “occulto” ci sia, e sia superiore a quello immaginato e su cui aveva accettato di transigere.
O forse subentrano motivi personali.

Fatto sta che Margherita rende pubblico il suo malcontento, affidandosi addirittura ad una rinomata agenzia di stampa, la “D’Antona & Partners”.

Il 28 maggio 2007 la vicenda diventa anche giudiziaria, poiché Margherita presenta al tribunale civile di Torino un atto di citazione contro Gabetti, Grande Stevens e Maron, con il quale – insieme con il risarcimento di eventuali danni patiti - chiede il rendiconto completo dei beni riferibili al padre, comprendente l’evoluzione nel tempo di quel patrimonio.
Margherita ha fatto trapelare il contenuto della sua memoria.
La memoria difensiva presentata dai citati in giudizio è trapelata solo mediante indiscrizioni. In sostanza, ritengono inverosimile la tesi di Marella per cui l'Avvocato li avrebbe incaricati di gestire il suo patrimonio con un "mandato verbale". Il patrimonio veniva gestito direttamente da Gianni Agnelli, loro erano semplici consiglieri, per cui non sono in grado di produrre alcun rendiconto.

Gli sviluppi della vicenda appaiono contrastanti.

Il 27 luglio di quest’anno il Tribunale ha respinto, con una prima ordinanza, le istanze di esibizione dei documenti presentate da Margherita.
(Il 17 marzo 2010 il Tribunale di Torino rigetterà definitivamente la causa intentata da Mergherita.)

Il 12 agosto, però, il Tg5 diffonde una notizia che sembra suffragare le ipotesi di Margherita: la Direzione centrale accertamento dell’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza stanno indagando su un patrimonio trasferito all’estero da Gianni Agnelli, per sfuggire alle imposte, che si suppone ammontare a circa 2 miliardi di euro.

Che morale trarre dalla vicenda, comunque finisca?

La magistratura appurerà – si spera – se davvero esistono fondi occulti sottratti al fisco italiano.
Per il resto, ognuno si farà una propria idea su chi ha "ragione" in questa vicenda, in cui si lotta non solo per il denaro (ognuno dei contendenti è ricchissimo, per sé e per le future generazioni), ma anche per questioni “di principio” (i figli di primo letto contro quelli di secondo letto) e per questioni di potere (il controllo della FIAT).


Berlusconi: in vista una nuova saga ereditaria?

Il problema della successione di un solo uomo alla guida dei grandi imperi economici forse si porrà anche in casa Berlusconi.

Premesso che probabilmente la questione si porrà molto in là nel tempo (il Cavaliere, ovviamente, fa gli scongiuri), le avvisaglie si vedono sin da oggi, con la separazione da Veronica Lario.

In un articolo di Angela Frenda apparso sul Corriere della Sera del 30 aprile, leggiamo:
“Alle amiche più care, poche e selezionate, la riservatissima Veronica avrebbe più volte confidato la sua solitudine: «Abbiamo esistenze separate. Io sono una donna oramai abituata alla solitudine. Ma per fortuna mi onora e mi rafforza il mio ruolo di mamma e di nonna. È per i miei figli che vivo. E combatto. A me? Ci penserò solo quando tutto sarà a posto». Una frase sibillina. Che però, chi la conosce bene, interpreta nell’ottica della grande questione, tuttora irrisolta, della spartizione ereditaria. Aspetto che sarebbe pesantemente dietro la sua esternazione di martedì sera. Il futuro manageriale e patrimoniale dei suoi tre figli — Barbara, Eleonora e Luigi — sta particolarmente a cuore a Veronica Lario. Che spesso avrebbe manifestato i suoi timori di vederli penalizzati rispetto a Marina e Pier Silvio, nati dal primo matrimonio del Cavaliere con Carla Elvira Dall’Oglio. È la Fininvest, la «cassaforte» di famiglia, ad essere al centro della contesa. C’è poi da definire l’eredità patrimoniale di Berlusconi. Nel 2006 è stato assegnato a ognuno dei tre figli avuti da Veronica Lario il 7,6 per cento di Fininvest. Ma c’è ancora da fare. Sia per quanto riguarda il 63 per cento del gruppo ancora in mano al Cavaliere, sia per stabilire chi comanderà davvero domani”.

Secondo una ricostruzione del quotidiano Il Tirreno, “per non scatenare la reazione di Marina e Piersilvio, che da tempo hanno preso in mano l'impero berlusconiano (Marina guida la Mondadori e cura la gestione economica di Fininvest, Pier Silvio ha affiancato Confalonieri alla guida di Mediaset, ndr), il Cavaliere vorrebbe dividere la torta al 50%. Ma Veronica contesterebbe la divisione, spingendo per una spartizione in cinque fette. In questo caso Barbara, Eleonora e Luigi avrebbero il 60%, la maggioranza".

A rinfocolare la polemica ci pensa Barbara Berlusconi, in un’intervista rilasciata al settimanale Vanity Fair: “A oggi non c’è nessuna lotta [per l’eredità]. E, se mio padre è uomo giusto ed equo, non ce ne saranno nemmeno in futuro”.

Foschi scenarî all’orizzonte...


P.S.: Berlusconi non avrà in mente di designare anche un erede alla guida politica del Paese? Pier Silvio?



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