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Politica - Notizie e Commenti
Referendum: l’astensione per evitare una legge elettorale fascista Stampa E-mail
L’approvazione dei quesiti referendari porterebbe ad una legge simile alla famigerata "legge Acerbo"
      Scritto da Giovanni Martino
15/06/09
Ultimo Aggiornamento: 24/06/11
Una gita al mare quale gesto di impegno democratico?
Una gita al mare quale gesto di impegno democratico?

Un malvezzo del dibattito politico è spesso quello di non usare argomenti, ma di bollare l’interlocutore con epiteti che dovrebbero zittirlo. Quello di “fascista” è uno dei più consueti, utilizzato quasi sempre a sproposito.

Ciò non significa, però, che non esistano casi in cui l’evocazione del fascismo abbia un reale significato. Come per i referendum elettorali del prossimo 21 e 22 giugno.

Intendiamoci: non intendiamo dare dei “fascisti” ai promotori o a coloro che sostengono i quesiti. In costoro ci sarà pure la buona fede di puntare ad un miglioramento del quadro politico. Ma lo strumento scelto, al di là delle intenzioni, è oggettivamente rischioso per la democrazia; ed ha un pericoloso precedente.

Durante il “ventennio” fascista si votò solo tre volte: nelle elezioni del 1924 e nei “plebisciti” (fasulli) del 1929 e del 1934. Mussolini era già a capo del Governo dalla fine del ’22, chiamato dal Re e da una maggioranza parlamentare che vedeva in lui l’uomo in grado, almeno provvisoriamente, di contrastare con azione decisa i disordini fomentati dai comunisti; o che sperava, coinvolgendolo nel governo, di spegnere la carica eversiva del suo movimento – gli “squadristi” -  ed evitare i pericoli di guerra civile.

Mussolini, però, non voleva essere lo strumento di altri. Voleva il potere. E aveva bisogno di una maggioranza parlamentare solida e sotto il suo controllo.

Gli serviva innanzitutto una legge elettorale in grado di offrirgli questa solida maggioranza anche in assenza di un’altrettanto solida maggioranza nel Paese. La legge fu preparata da un sottosegretario del suo Governo, Giacomo Acerbo. Approvata (grazie anche al voto di fiducia chiesto dal Governo) nel novembre del 1923, riconosceva alla lista che avesse ottenuto almeno il 25% dei voti una maggioranza dei due terzi dei seggi del Parlamento!

Nelle successive elezioni del 1924 il “listone” fascista ottenne la maggioranza assoluta dei voti. Ma a questa maggioranza non contribuirono solo le intimidazioni delle squadracce fasciste e le basi di consenso sociale che Mussolini aveva saputo crearsi. Contribuì la legge stessa, che aveva in pratica stabilito un vincitore annunciato, e indotto tutti a salire sul suo carro.
La maggioranza dei voti popolari, ovviamente, fu accresciuta e blindata col premio dei due terzi garantito dalla legge elettorale (seggi cui si aggiunsero quelli di alcune liste civetta, le cosiddette “liste bis”, messe in campo dai fascisti per rosicchiare anche la quota della minoranza). Su questa maggioranza il fascismo costruì il regime.

Che cosa propongono, oggi, i referendum di modifica della legge elettorale?

La legge in vigore riconosce il 55% dei seggi in parlamento alla coalizione o alla singola lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti.
La legge che uscirebbe dall’approvazione dei referendum riconosce questo premio di maggioranza solo alla singola lista, non consentendo quindi coalizioni elettorali.
Non c’è neanche una soglia minima di voti da raggiungere
: per ipotesi, se si presentano dieci partiti e ciascuno prende il 10% circa dei consensi, avrebbe la maggioranza assoluta in parlamento quello che abbia ottenuto il 10,1% ! (E parliamo di voti validi; se contiamo astensioni e voti non validi, quello vittorioso potrebbe essere un partito che rappresenta il 7-8% dei cittadini).

La legge Acerbo garantiva un premio più generoso (il 66,5% dei seggi), ma richiedeva una soglia minima di consensi che oggi non sarebbe più necessaria.
Vien da sorridere pensando che nel 1953 la DC approvò una legge che riconosceva un premio di maggioranza parlamentare a chi otteneva già la maggioranza assoluta dei voti popolari, e che tale legge fu definita dall’opposizione comunista “legge truffa”…

Si tenga presente che anche a seguito dell'approvazione dei referendum potrebbero presentarsi liste che, pur non ottenendo il premio di maggioranza, si alleano dopo le elezioni con quella vincente (come accadde per le “liste bis” del 1924). Ciò potrebbe consentire, ad un’alleanza che rappresenta un’esigua minoranza di cittadini, di ottenere oltre i due terzi dei seggi parlamentari, e quindi di modificare la Costituzione senza ricorrere a referendum confermativi!
(I referendum "confermativi" sono quelli indetti per confermare o respingere una riforma costituzionale approvata da una maggioranza del parlamento che non raggiunge il quorum dei due terzi. Se tale quorum è raggiunto, la riforma non può essere sottoposta a referendum.
I referendum come quelli del 21 e 22 giugno, invece, sono "abrogativi" di una legge - o parte di legge - ordinaria).

Accanto alla modifica descritta, i quesiti referendarî ne introducono altre due: l’estensione a tutte le liste del limite minimo del 4% dei voti alla Camera e dell’8% al Senato per entrare in parlamento (mentre oggi il limite è dimezzato per le liste coalizzate); il divieto di candidature multiple in più collegi.
Si tratta di due modifiche a nostro avviso positive. Ma questa positività riguarda aspetti secondarî, che passano del tutto in secondo piano rispetto alla gravità del quesito principale.


I referendarî portano alcuni argomenti a sostegno delle proprie tesi. Passiamoli rapidamente in rassegna, tenendo ben presente un punto fermo: non esiste nessuna buona ragione che possa essere difesa con una legge che indebolisce la democrazia.

1) “L’attuale legge è stata definita ‘porcellum’ dal suo stesso relatore, Calderoli. Bisogna cambiarla”.

La legge elettorale in vigore, a nostro avviso, non è una pessima legge. Rappresenta un importante passo in avanti rispetto alla precedente (quella uninominale). Presenta alcuni difetti, il principale dei quali è l’assenza del voto di preferenza, che non consente ai cittadini di scegliere le persone (abbiamo così il parlamento dei nominati anziché degli eletti). Ma i referendum non correggono questi difetti! Ne introducono semmai di nuovi…

2) “La legge che risulterebbe dall'approvazione dei referendum consentirebbe di semplificare il quadro politico, costruendo il bipartitismo. E favorirebbe la governabilità contro la litigiosità delle coalizioni”.

Non ci sembra che il bipartitismo sia l’assetto politico di cui il nostro Paese ha bisogno.

Semplificazione? Se è per questo, con un solo partito la scelta sarebbe ancora più semplice…
Soprattutto, una semplificazione del quadro politico può essere costruita solo con scelte coerenti dei partiti (che rinuncino alle coalizioni-ammucchiate) e con la volontà degli elettori (che puniscano le alleanze disomogenee). Ciò che, del resto, accade nei Paesi tanto invocati come esempio. Ma la "semplificazione" non può essere prodotta con la camicia di forza di leggi elettorali che riducono drasticamente le possibilità di scelta dei cittadini.

In concreto, gli esiti dell’approvazione dei referendum potrebbero essere:
- indurre i partiti ad unirsi in listoni elettorali, che si frammenterebbero subito dopo le elezioni;
- oppure costringere i partiti più deboli a confluire in quello più forte, il cui leader, potendo dire l’ultima parola sulle candidature, diventerebbe il dominus indiscusso.

La governabilità, poi, può essere garantita da ben altri strumenti (come abbiamo cercato sempre di evidenziare nell’articolo sulle riforme di cui il Paese ha bisogno): legge elettorale sul modello tedesco, sfiducia costruttiva, riforma dei regolamenti parlamentari (per non legare il finanziamento pubblico ai gruppi parlamentari), riforma dei poteri del Presidente del Consiglio.

3) “Se i referendum vengono bocciati, l’attuale legge diverrà intoccabile”.

Argomentazione pretestuosa. L’attuale legge non va cambiata in peggio, ma in meglio. E il parlamento resta sovrano (almeno finché è pluralista…).


Un'ultima questione potrebbe essere: a chi gioverebbe l'approvazione dei referendum? Ai partiti più grandi?

Certamente. Ma è una questione che non dovrebbe essere un valido elemento di giudizio.
Anche gli elettori dei partiti maggiori si rendono ben conto - pensiamo - che è bene affidare ai partiti un mandato revocabile. Con una legge che blocchi il sistema politico, invece, il mandato diverrebbe irrevocabile: non sarebbe più possibile liberarsi di partiti di cui si è persa fiducia.


L’importanza dell’astensione

I sostenitori dei referendum utilizzano anche slogan del tipo: “Votate come credete, anche ‘no’, ma votate. Chi non vota manifesta scarso senso civico, disimpegno”.

A queste affermazioni possiamo rispondere con i medesimi argomenti che abbiamo utilizzato in occasione dei referendum sulla fecondazione artificiale del 2005: NON ANDARE A VOTARE è una scelta pienamente consapevole nonché un diritto costituzionale; è l’unico modo efficace per opporsi ai referendum. Chi vota “no” (o scheda bianca o nulla) rischia solo di aiutare i “sì” a vincere.

Oppure, chi vuole recarsi a votare per i ballottaggi delle elezioni amministrative dovrà aver cura di non ritirare le schede dei referendum (bisognerà dichiarare subito al presidente della sezione la volontà di non ritirare quelle schede, quindi prima di essere registrati dagli scrutatori nel registro dei votanti al referendum).

Rimandiamo al nostro precedente articolo per un'accurata analisi politico-giuridica dei motivi che legittimano l'astensione. 



Giudizio Utente: / 7

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