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Politica - Notizie e Commenti
Berlusconi rappresenta ancora i moderati? Stampa E-mail
Crescono le polemiche italiane e internazionali sul premier. "Complotti" o indice di difficoltà?
      Scritto da Giovanni Martino
01/06/09
Ultimo Aggiornamento: 25/09/11

Silvio Berlusconi ancora sotto tiro.

Per le sue vicende personali: il caso Noemi e le feste con le veline, il divorzio da Veronica, la sentenza Mills, gli attacchi al ruolo del Parlamento, le critiche di importanti giornali esteri moderati come il Financial Times, il Times, la Faz.
Ma anche per le prime difficoltà nell’azione di Governo, sia sul fronte interno sia su quello internazionale.

Per certi versi, non può che essere così: il leader di una nazione democratica è inevitabile che sia il principale bersaglio di critiche e polemiche.

Per altri versi, c’è un’anomalia italiana in questa ‘corrida’ personale, in questo continuo referendum pro o contro una persona, che distoglie il dibattito politico dai contenuti e dalle scelte necessarie a costruire il bene comune.
Anche quando le critiche vorrebbero essere politiche, assumono sempre il profilo di un attacco alla persona; ed anche la difesa da queste critiche diventa una difesa personale, e non del merito delle scelte effettuate.

A questo punto, però, dopo quindici anni di protagonismo politico di Berlusconi, dobbiamo chiederci:
1. Le accuse personali che riceve sono tutte infondate? O, se fossero fondate, sono "private"?
2. La “credibilità” dei critici è un fattore determinante?
3. Perché il dibattito sulla persona di Berlusconi oscura quello sulla sua azione politica?
4. Tutto può essere giustificato in virtù del consenso?
5. Come riportare i contenuti al centro del dibattito politico?
6. e infine: l’uomo di Arcore è ancora credibile come beniamino dei moderati italiani?

Cerchiamo di rispondere a tali domande.


1. Le accuse personali che riceve sono tutte infondate? O, se fossero fondate, sono "private"?

Analizziamole per sommi capi.

a) Le vicende rosa (il caso Noemi, le "veline" ospiti di Villa Certosa o di Palazzo Grazioli, il caso Carfagna, il divorzio da Veronica, il "bunga-bunga" di Arcore, ecc.).

La difesa di Berlusconi, rispetto alla fondatezza di questi fatti, è stata mutevole. A volte ha negato. Altre volte ha glissato, sostenendo di non aver mai "organizzato festini", o di aver "partecipato soltanto a cene certamente simpatiche, ma assolutamente ineccepibili sul piano della moralità e dell'eleganza" (e ovvio che i concetti di "simpatia", "moralità" ed "eleganza" sono mutevoli...). Altre volte ancora, messo alle strette da elementi puntuali e desideroso di affrontare i suoi ammiratori con la sua tradizionale guasconeria, ha proclamato: "In Italia ci sono tante belle figliole e io non sono un santo".

La sua difesa, però, più che sull'infondatezza dei fatti, si è basata sull'argomento che “si tratta di fatti privati, di mero gossip, di fanghiglia rimestata da una stampa manovrata dalla sinistra e priva di argomenti”.

Berlusconi ha ragione solo in parte.

Innanzitutto, sa bene che i confini della sfera “privata”, per un uomo pubblico, sono più ridotti che per un qualsiasi cittadino. Lo sa perché si tratta di un dato acquisito dal senso comune e da consolidata giurisprudenza. Lo sa come imprenditore di mezzi di comunicazione che hanno sempre scandagliato le vicende private di uomini pubblici. Lo sa come uomo politico che ha fondato molte delle sue fortune proprio sull’esposizione della sua sfera privata, compiacendosi di farsi chiamare “Silvio” da elettori e giornali amici.
La “privacy”, insomma, non può essere invocata come alibi per negare diritti costituzionalmente garantiti, come quello dei cittadini a sapere a chi va il proprio voto (un tentativo di definire i confini della riservatezza dei politici e dei titolari di cariche pubbliche lo abbiamo fatto proprio in un nostro precedente articolo).

Berlusconi ha ragione nell’evidenziare come alcune “rivelazioni” su di lui siano volgari e scorrette, anche perché non espongono fatti ma costruiscono insinuazioni. Alcuni dei fatti insinuati, però, se fossero veri, non sarebbero “privati”.

Se un politico – a maggior ragione un Presidente del Consiglio – ama circondarsi di ragazze che hanno oltre cinquant’anni di meno, forse non si tratta di un dato politicamente determinante. Ma possono ben giudicarlo gli elettori.
Se – e sottolineiamo se – poi con queste ragazze si tenessero atteggiamenti che nocciono al decoro della carica e all’immagine internazionale del nostro Paese, sicuramente questo sarebbe un dato di rilevanza pubblica. Non è importante, a nostro avviso, se il premier non è consapevole che alcune di queste ragazze sono "squillo" (o "escort", come usano dire molti media) ingaggiate da suoi amici: se anche fosse solo l' "utilizzatore finale" delle loro prestazioni (come ha incautamente ipotizzato il suo avvocato Niccolò Ghediini), se anche non esistessero aspetti penalmente rilevanti, si tratterebbe in ogni caso di condotte incompatibili - anche per la dimensione dei fatti - con la sua carica.
Se la carriera “artistica” di alcune di queste ragazze è sponsorizzata, in virtù della carica ricoperta, presso dirigenti della televisione di Stato (Saccà), sicuramente questo è un dato di rilevanza pubblica.
Se Berlusconi sceglie di raccontare nel più seguito rotocalco politico (Porta a Porta) la sua versione dei fatti sulla partecipazione al comlpeanno di Noemi Letizia, per di più raccontando alcune bugie, è lui stesso che toglie carattere privato a quel compleanno.
Se a Villa Certosa vengono organizzate feste con centinaia di persone, tra cui decine di giovani ragazze ed ex Primi Ministri della repubblica Ceca, difficilmente tali ‘eventi’ (delle cui foto Berlusconi ha chiesto il sequestro), anche se organizzati in una residenza privata, possono essere considerati “riservati”.
Se gli ospiti delle feste a Villa Certosa utilizzano aerei militari, sicuramente questo è un dato di rilevanza pubblica.
Se Berlusconi utilizza le stesse residenze sia per "cene simpatiche", sia per le nomine RAI (Palazzo Grazioli) o per incontri con leader internazionali (Villa Certosa), queste residenze perdono un po' del loro carattere "privato".

Se – e sottolineiamo se - una giovane donna divenuta ministro della Repubblica avesse avuto rapporti di stretta amicizia con il Presidente del Consiglio, questo sicuramente sarebbe un dato di rilevanza pubblica. Probabilmente la nomina a ministro sarebbe dovuta semplicemente alle doti di intelligenza, preparazione e abilità politica della giovane donna; ma sicuramente la stretta amicizia sarebbe una notizia che i cittadini meritano di conoscere.
Si è parlato di intercettazioni, effettuate dalla Procura di Napoli, che avrebbero coinvolto Berlusconi e il ministro Carfagna, e che secondo il quotidiano la Repubblica e l’ex parlamentare del Popolo della Libertà Paolo Guzzanti riguardavano proprio una “stretta amicizia”. Il contenuto e i protagonisti di queste intercettazioni non sono però mai stati confermati, e la Procura ne ha ordinato la distruzione in quanto “non penalmente rilevanti”.
Il fatto però che alcuni comportamenti siano irrilevanti sotto il profilo penale non significa che lo siano anche sotto il profilo politico e morale, o che debbano essere necessariamente sottratti alla conoscenza dei cittadini.
Noi ci limitiamo a osservare che, fino alla distruzione delle intercettazioni, il ministro Carfagna non ne aveva smentito l’esistenza, e Berlusconi aveva minacciato di abbandonare l’Italia se fossero state divulgate. Fassino, nella vicenda Unipol, aveva invece chiesto che le intercettazioni che lo riguardavano fossero divulgate (salvo dolersene quando il quotidiano della famiglia Berlusconi, il Giornale, lo aveva accontentato...).

Il divorzio da Veronica Lario è un fatto privato? Solo in parte, per quello che attiene la sfera dei sentimenti delle persone coinvolte.
Il divorzio del politico che ha utilizzato la sua immagine familiare come strumento di propaganda politica, però, ha un indubbio risvolto politico, perché indebolisce tale strumento (al di là di chi "abbia ragione", che è davvero irrilevante).
Il divorzio dell’uomo più ricco d’Italia, inoltre, significa anche divisione del suo patrimonio. Il che interessa l’economia del Paese.
Senza considerare che gli stessi coniugi se le mandano a dire tramite i giornali...

Berlusconi, peraltro, non è il primo uomo politico italiano bersaglio di attacchi di questo tipo.
Per vicende “scandalistiche” meno gravi, e che non li riguardavano personalmente (ma investivano i loro figli), hanno visto infrangersi la propria carriera politica uomini di spicco come Piccioni e Leone.

Stiamo facendo del moralismo? No, perché non stiamo entrando nel merito di fatti di cui non sono ben chiari i contorni; stiamo semplicemente rilevando che un giudizio morale – legittimo e necessario anche in politica – deve poter essere formulato dai cittadini. A dire il vero, un giudizio morale complessivo – prescindendo dai singoli episodî – ci sentiamo di darlo anche noi: gli atteggiamenti spregiudicati degli uomini pubblici danneggiano il tessuto morale della nazione. E la vita pubblica (come anche l’economia) ha bisogno di solide radici morali.
Non stiamo invocando improbabibili figure di uomini politici moralmente ineccepibili (pure ne sono esistiti); ci accontenteremmo che molti politici - Berlusconi è in buona compagnia - evitassero quella sorta di autocompiacimento nel potersi permettere ciò che ad altri non è permesso.
Consentiteci un richiamo storico: l’atteggiamento di Giovanni il Battista, che rimproverava pubblicamente Erode Antipa di aver sposato la moglie di suo fratello, era “un’inopportuna e volgare intromissione nelle questioni private di un’alta carica istituzionale”?

Moralista, piuttosto, è il giudizio ipocrita della sinistra, che si scandalizza per comportamenti non dissimili da quelli tenuti da molti suoi esponenti (o addirittura promossi istituzionalmente: ricordate i corsi per aspiranti veline promossi dalla giunta regionale campana di Bassolino?); e che cerca di insabbiare i fatti che la riguardano (Telecom Serbia, Unipol, Speciale). Ma se la consapevolezza di questa ipocrisia ci fa capire che da sinistra non viene un’alternativa morale credibile, sicuramente non si può invocare il “così fan tutti” come alibi per eventuali comportamenti poco decorosi.

Chi difende per partito preso (e non nel merito) Berlusconi, dovrebbe fare una semplice riflessione: che cosa avrebbe detto se simili comportamenti fossero stati attribuiti – per dire – a Prodi o D’Alema? E che cosa è stato detto delle frequentazioni notturne di Sircana, delle scarpe su misura e della barca di D’Alema, della casa newyorchese di Veltroni?

Molti hanno invocato un giudizio della Chiesa. Che ovviamente preferisce giudicare i comportamenti, piuttosto che le persone; soprattutto quando i giudizî possono essere strumentalizzati politicamente. Mentre chi invoca la censura ecclesiastica, spesso, appartiene al novero di quanti difendono gli stessi comportamenti che non perdonano a Berlusconi; insomma, capovolgendo la tradizionale massima, vorrebbero che fosse condannato il peccatore ma non il peccato!

Infine, parole abbastanza esplicite sono giunte il 6 luglio dal segretario della Conferenza episcopale italiana, monsignor Mariano Crociata, nell’omelia della Messa celebrata a Latina in occasione della memoria liturgica di santa Maria Goretti: "Assistiamo ad un disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà, autocontrollo e allo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile che invera la parola lussuria, con cui fin dall’antichità si è voluto stigmatizzare la fatua esibizione di una eleganza che in realtà mette in mostra uno sfarzo narcisista; salvo poi, alla prima occasione, servirsi del richiamo alla moralità, prima tanto dileggiata a parole e con i fatti, per altri scopi, di tipo politico, economico o di altro genere. (...) Nessuno può pensare che si tratti di affari privati, soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio".

Insomma, ce n'è per tutti.
Per Berlusconi, sembra evidente. Sarà stato un caso che mons. Crociata abbia scelto la ricorrenza di santa Maria Goretti, alla quale il Cavaliere aveva paragonato Mara Carfagna per difendersi da precedenti insinuazioni?
(A dire il vero, prudenza ha imposto di non fare esplicitamente il nome di Berlusconi. Ma, forse, è bastato questo intervento per suscitare in alcuni sostenitori del premier il desiderio di rimettere in riga la Chiesa: v. il caso Feltri-Boffo).

Ma gli strali del segretario della CEI erano rivolti anche agli oppositori del Cavaliere, che si servono "del richiamo alla moralità, prima tanto dileggiata a parole e con i fatti, per altri scopi, di tipo politico, economico o di altro genere". Un perfetto ritratto del moralismo progressista che abbiamo poc'anzi evidenziato.

b) Le vicende giudiziarie.

Lo scorso 17 febbraio si è concluso il primo grado di giudizio del processo all'avvocato inglese David Mills, il quale è stato condannato per corruzione. La corruzione sarebbe consistita – secondo i giudici – nell’aver accettato il pagamento di 600.000 dollari da parte di Silvio Berlusconi, attraverso il manager Fininvest Carlo Bernasconi, perché Mills fosse testimone reticente nei processi per i casi Guardia di Finanza e All Iberian. Berlusconi non è stato condannato perché la sua posizione è stata stralciata in virtù del cosiddetto “lodo Alfano”, che sospende i processi per le alte cariche dello Stato e che deve essere esaminato dalla Corte Costituzionale.

La difesa di Berlusconi, rispetto a questa ennesima vicenda giudiziaria, non è nuova: “si tratta di una sentenza condizionata dall’orientamento pregiudizialmente ostile di magistrati politicizzati”. Anche qui, Berlusconi ha ragione solo in parte.

Nell’articolo su Giustizia e politica avevamo analizzato in dettaglio le ragioni e i torti di Berlusconi. È esistita senz’altro, in Italia, l’azione politicizzata di una parte della magistratura. Che danneggia non solo i politici coinvolti, ma anche gli elettori che questi rappresentano.
Ma denunciare questo fatto non può tradursi – di nuovo – in una sorta di impunità e nell’esenzione da ogni giudizio (se non penale, almeno politico e morale). La denuncia dell’azione politicizzata di una parte della magistratura non può divenire insofferenza per l’azione di tutta la magistratura: questo avveniva solo per i sovrani assoluti (legibus absoluti, sciolti dai vincoli di rispetto delle leggi).

È bene che il Presidente del Consiglio valuti attentamente se e quando avvalersi delle immunità che la legge gli concede, o in quali modi chiarire pubblicamente la sua posizione. Tenendo conto che si tratta della prima volta che viene chiamato in causa - seppure indirettamente - da una condanna (si era sempre vantato che i teoremi dei pubblici ministeri erano stati disattesi dai giudici); e per un reato particolarmente grave come la corruzione in atti giudiziarî.

c) Gli attacchi al ruolo del Parlamento e alla libertà di stampa, i flirt con i capi di Stato autocratici

Il 10 marzo scorso, all'assemblea dei deputati del Pdl al teatro Capranica a Roma, Berlusconi aveva affermato che “il voto del capogruppo dovrebbe valere per tutti i suoi deputati”. All’assemblea della Confindustria, il 21 maggio, ha dichiarato che “le assemblee pletoriche [come il nostro Parlamento] sono assolutamente inutili e addirittura controproducenti". Più volte ha lamentato di non avere abbastanza potere. Ha utilizzato le sue risorse economiche per condizionare parlamentari. Ha esternato il suo favore per il referendum elettorale che si terrà il prossimo 21 giugno (e che – se approvato – produrrebbe una legge capace di regalare la maggioranza parlamentare ad un partito largamente minoritario nei voti).

Insomma, non si tratta di proporre soluzioni equilibrate per aumentare l’efficienza delle istituzioni, soluzioni come quelle elaborate dal centro destra nella riforma costituzionale poi bocciata dal referendum confermativo del 2006. Quella che emerge con sempre maggiore nettezza, soprattutto negli ultimi due/tre anni, è una vera e propria insofferenza del premier per i meccanismi della democrazia rappresentativa, privilegiando un rapporto plebiscitario leader-popolo.

Vorremmo però ricordare – e speriamo che non ci sia necessità di approfondire l’argomento in futuro – che la democrazia o è rappresentativa (con diverse accentuazioni della forza del potere esecutivo) o non è democrazia.

Ciò che inquieta, al riguardo, è che le accuse di “cesarismo” rivolte a Berlusconi non sono, a differenza delle altre, rigettate, ma accolte quasi con compiacimento...

Inquietano anche gli attacchi alla libertà di stampa.

Inquietano, infine, i pubblici elogi ad autocrati come Putin o dittatori come Gheddafi.


2. La “credibilità” dei critici è un fattore determinante?

Non sempre Berlusconi – e chi lo sostiene – risponde nel merito alle accuse personali o politiche. La replica, molto spesso, nega in radice il senso di ogni critica: chi lo accusa è immancabilmente una persona animata da “odio, invidia, pregiudizio ideologico”; oppure, se si tratta di un ex amico, è un “traditore”, o una “persona animata da spirito di rivalsa perché non accontentata nelle sue ambizioni”.

Non si può negare che molti partiti politici e organi d’informazione hanno scarsa credibilità, si caratterizzano per una faziosità al servizio di interessi di parte. Molte critiche mosse a Berlusconi nel corso degli anni sono state esagerate o strumentali. Le “dieci domande” poste da la Repubblica a Berlusconi sul caso Noemi sono tendenziose, perché contengono in sé un giudizio preconcetto.

Ma come la denuncia dell’azione politicizzata di una parte della magistratura non può divenire pretesa d’impunità, così la mancanza di credibilità – vera o presunta - degli accusatori non può tradursi in immunità da critiche. In questo modo, qualsiasi comportamento diverrebbe ammesso, secondo un meccanismo vittimista e autoassolutorio.
Si tratta dello stesso meccanismo, capovolto, che ha utilizzato lo stalinismo ieri e l’antiberlusconismo oggi per denigrare i proprî avversarî: "chi appoggia Berlusconi è un prezzolato o un sempliciotto".

La valutazione di ogni critica deve estendersi al merito.
Ciò non toglie, ovviamente, che il giudizio dei cittadini sarebbe meno complicato se partiti e organi d’informazione fossero meno faziosi...

Ultimamente giudizî taglienti su Silvio Berlusconi sono stati pubblicati su importanti testate internazionali e – soprattutto – di area moderata. Se è forse possibile accusare di “pregiudizio ideologico” o di “ricevere suggerimenti dalla sinistra italiana” testate progressiste come El Pais, The Guardian, Liberation, non è altrettanto facile rivolgere la stessa accusa alle più autorevoli testate moderate.

Da The Times è venuto un attacco durissimo a tutto campo (“Ciò che è più scioccante è il completo disprezzo con cui egli tratta l'opinione pubblica italiana”), in un editoriale pubblicato il 1 giugno e intitolato Cala la maschera del clown. Va detto che questo storico quotidiano inglese è di proprietà di Murdoch, il quale ha interessi economici in contrasto con Berlusconi. Senza credibilità anch’esso, dunque?

Guardiamo allora la più importante testata economica europea, l'inglese Financial Times. Già in un articolo del 18 marzo 2008, che metteva a confronto Italia e Spagna, scriveva: “Berlusconi è uno scoppiettante magnate che è visto come un sinistro clown in gran parte dell'Europa. Zapatero non sarà una grande figura della scena europea ma almeno non si rende ridicolo". Lo scorso 27 maggio rincara la dose: “Il fascismo non è nel futuro probabile dell'Italia: Berlusconi chiaramente non è Mussolini, lui ha squadre di starlette e non di camicie nere (…) Ma è un pericolo, in primo luogo per l'Italia, ed un esempio deleterio per tutti”.

Più ironica e sfumata la tedesca Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz) del 1 giugno, secondo la quale Berlusconi “prende ad esempio il padre degli dei: Giove. Costui non era conosciuto solo per fulmini e saette, ma anche per le sue visite audaci presso le donne, tanto malfamate, quanto forse amate". Nel corso del’articolo, il corrispondente della Faz critica l’eccessiva severità delle testate britanniche verso la politica italiana e le sue “coloriture”; ma sottolinea che, anche nel quadro di questa politica, “Berlusconi è un caso a parte”.


3. Perché il dibattito sulla persona di Berlusconi oscura quello sulla sua azione politica?

Questa ‘corrida’ personale è un’anomalia italiana.

Un’anomalia in parte voluta da Berlusconi stesso, che sin dall’inizio ha puntato molte fiches sulla sua immagine di uomo di successo: “sono l’imprenditore che dà lavoro a tante famiglie, che ha costruito una grande ricchezza, il presidente del Milan vincente su tutti i campi, il figlio devoto, padre esemplare e marito premuroso: datemi fiducia, e ripeterò gli stessi successi anche in politica”.

Questa scelta del Cavaliere è stata dettata dal desiderio di sfruttare una rendita privilegiata rispetto ad altri concorrenti politici, quella dei successi conseguiti in altri campi.
Una scelta determinata anche dal desiderio di stabilire una maggiore "empatia" con l'elettorato, puntando su fattori emotivi di ammirazione/emulazione.
Una scelta, infine, frutto di un calcolo preciso, proprio di un abilissimo uomo di comunicazione e ‘psicologo’ innato: difendere la propria figura è più facile che difendere gli eventuali insuccessi politici. Se si afferma l’equazione “uomo di successo = politico capace”, allora alle critiche politiche si potrà sempre ribattere denunciando la mancanza di mezzi e di potere: “non mi lasciano lavorare”; e le critiche personali potranno sempre essere squalificate come frutto di “odio, invidia, pregiudizio ideologico”.

Mettersi in campo a tutto tondo, però, accresce anche la vulnerabilità: se l'immagine si incrina, ne risente anche la dimensione politica.

L’anomalia del Berlusconi centro della politica italiana è stata voluta anche dalla sinistra, che ha trovato nell’antiberlusconismo un comodo surrogato della propria mancanza di idee e della difficoltà ad abbandonare le proprie casematte di potere politico.
La caduta del Muro di Berlino avrebbe richiesto ai comunisti italiani un profondo ripensamento di valori e strategie. Un ripensamento che ancora vent’anni dopo, con la fondazione del Partito Democratico, non c’è stato. Molto più comodo, da Tangentopoli in poi, illudersi che basti la denigrazione personale dell’avversario per accreditarsi come unica classe dirigente credibile (un po’ come – per i vecchi comunisti - il pedigree di “antifascisti” doveva essere il surrogato della democraticità).
La sinistra ha contribuito a costruire e alimentare il suicidio della politica italiana.
Le alleanze elettorali costruite dalla sinistra sono state cartelli antiberlusconiani incapaci di governare, come dimostrato nel 1996 e nel 2006. La delusione verso il governo Prodi è stata il miglior puntello per la successiva vittoria elettorale del Popolo della Libertà e per i vertici di popolarità raggiunti dall'attuale premier.

La sinistra italiana, peraltro, ha tanto aggredito a parole Berlusconi, quanto lo ha puntellato nei fatti. In cinque anni di governo, dal 1996 al 2001, con una solida maggioranza che ha portato anche ad una revisione costituzionale, nulla è stato fatto su concentrazione dei mezzi di comunicazione (affrontare questo tema avrebbe richiesto anche un ripensamento sulla presenza della sinistra in RAI) e conflitto di interessi. Si è coltivata la folle illusione che questi punti critici fossero per Berlusconi una debolezza politica, un modo per tenerlo sotto ricatto.
E ancora nel 2008, prima delle ultime elezioni, abbiamo avuto il patto scellerato tra Berlusconi e Veltroni per costruire il bipartitismo all’italiana, sabotando una revisione del sistema elettorale basata sul modello tedesco che era ormai largamente condivisa. Veniva ancora coltivata l’illusione che basti accreditarsi come gli avversarî principali di Berlusconi per raccogliere i frutti, un domani, della sua caduta (per stanchezza? Guai giudiziarî? Malattia?).

L’anomalia del Berlusconi centro della politica italiana, infine, è per certi versi inevitabile, essendo collegata alla particolare concentrazione di potere nella sua persona, alla sua capacità di condizionamento (economico e mediatico) della vita pubblica.


La presenza ingombrante della figura personale di Berlusconi non deve però far dimenticare che il suo successo non è solo una questione di immagine.

La sua “discesa in campo” ha avuto un profondo significato politico, “sdoganando” la destra e alcune parole d’ordine (sicurezza, Patria, liberismo, incoraggiamento dell’iniziativa imprenditoriale, critica dell'invadenza statale e dell'eccessiva imposizione fiscale) in precedenza trascurate. Berlusconi, inoltre, ha introdotto il marketing in politica, con tutte le innovazioni anche positive che ciò comporta (linguaggio più diretto e comprensibile), e ha portato l’attenzione sui programmi.

Gli Italiani che votano Berlusconi non sono sempliciotti abbagliati dalle sue arti magiche. Sono persone che confidano nella realizzazione di promesse che la sinistra non vuole fare o non sa mantenere.
Parte di quelle promesse sono state mantenute: l’abolizione dell’ICI, la soluzione del problema rifiuti a Napoli, il contrasto deciso all’immigrazione clandestina, la difesa della vita col tentativo di salvare la vita di Eluana Englaro. (Sull’azione del ministro Brunetta per riformare la pubblica amministrazione, che pure riscuote larghi consensi, sospendiamo il giudizio, attendendo che si passi dal fumo all’arrosto).

Insomma: l’attenzione all’immagine, il vittimismo personale del Presidente del Consiglio, non servono a catturare i voti. Servono magari a conservar credito nel momento in cui le promesse non possono essere integralmente mantenute.

Non è infatti tutto oro quello che luccica: all’abolizione dell’Ici fa da contraltare un aumento - seppur lieve – della pressione fiscale complessiva; il problema dei rifiuti a Napoli può esser considerato l’emblema dell’insipienza della sinistra, più che dell’abilità berlusconiana; il contrasto dell’immigrazione clandestina via mare è più facile – se c’è ‘volontà politica’ - di quello dell’immigrazione via terra (ingresso con visti turistici di cui non viene rispettata la scadenza), che costituisce la percentuale di gran lunga prevalente del fenomeno; al decreto legge su Eluana non ha ancora fatto seguito l’approvazione della legge sul testamento biologico.
Le prime difficoltà dell’azione di governo sono legate anche ai problemi economici (aumento della disoccupazione e del deficit pubblico, giustificati con la “crisi mondiale”) e a quelli di politica internazionale (dissidî con gli USA, che non vedono di buon occhio il rapporto privilegiato con un leader autoritario come Putin).
Senza considerare gli impegni assunti su problemi generali (introduzione del quoziente familiare per definire il carico fiscale; abolizione del bollo auto e diminuzione della pressione fiscale complessiva; edilizia popolare; abolizione delle Province; riduzione degli sprechi nella spesa pubblica; completamento della riforma previdenziale; ecc.) il cui rispetto sembra lontano.

Al mantenimento di alti livelli di polarità di Berlusconi concorre l’assoluta mancanza di credibilità dell’alternativa di sinistra, e la debolezza di quella di centro; per cui il Cavaliere sarebbe considerato “meno peggio”.


4. Tutto può essere giustificato in virtù del consenso?

Per eludere le critiche, Berlusconi – oltre a negare la credibilità dell’interlocutore – sceglie spesso di fare appello al consenso di cui gode: “Queste accuse sono un boomerang che si ritorce contro chi le muove. Il consenso degli Italiani verso di me non è mai stato così alto”.

La popolarità di un politico significa apprezzamento integrale della pubblica opinione per ogni suo atteggiamento, anche sguaiato?

Qualcuno ritiene che Berlusconi venga votato grazie alle sue barzellette grevi, alle sue bandane in testa, alle corna agli altri capi di governo durante le fotografie, alle affermazioni secondo cui avrebbe “rispolverato tutte le arti da playboy” con la Presidente finlandese per fare di Parma la sede dell’Authority alimentare europea (causando una crisi diplomatica), ai “cucù!” al cancelliere Merkel, alle esclamazioni poco protocollari che fanno irritare la regina Elisabetta (e ci incasellano sempre nello stereotipo di Italiani caciaroni), alle battute sull’abbronzatura di Obama?
Oppure viene votato nonostante questi atteggiamenti, perché in lui vengono riposte alcune speranze politiche, o perché continua a sembrare “meno peggio” della sinistra?

Non escludiamo che esista una quota di Italiani – quella che fa ore di fila per partecipare alle selezioni del Grande Fratello – che apprezza anche i toni sguaiati.
Noi ci prendiamo però volentieri l’accusa di snobisti (un altro modo di eludere i problemi), confessando che questi atteggiamenti pubblici (ma anche, eventualmente, quelli ipotizzati nelle indiscrezioni di cui abbiamo parlato in precedenza) non ci piacciono, soprattutto se vengono da chi ricopre incarichi istituzionali ed è chiamato a rappresentare tutti i cittadini.

E ancora: qualcuno ritiene che Berlusconi venga votato grazie alle bugie, come quelle dette (e implicitamente riconosciute come tali dallo stesso premier, che ha più volte corretto le sue versioni) sul caso Noemi Letizia (le circostanze della conoscenza con la famiglia, la presunta improvvisazione della visita alla festa di compleanno)?
Oppure viene votato nonostante queste bugie, amabilmente definite – da un amico indulgente come Giuliano Ferrara – “bugie bianche”, piccole bugie su temi poco rilevanti?

Non escludiamo che esista una quota di Italiani indifferente alle bugie.
Noi riteniamo però che la sincerità – su ogni questione, piccola o grande - sia il requisito fondamentale di ogni rapporto fiduciario, e che senza di essa non ci sia democrazia.

Neanche è ammissibile che problemi reali della vita democratica italiana – il conflitto d’interessi, la concentrazione della proprietà dei mezzi di comunicazione - possano essere liquidati sostenendo che “gli Italiani, votando Berlusconi, hanno deciso che il conflitto d’interessi non esiste”.
Ripetiamolo: a nostro avviso gli Italiani continuano a sostenere Berlusconi nonostante questi nodi critici. Del resto, i cittadini possono decidere chi li governa, ma non possono decretare che un problema non esiste, come non possono decretare che la Francia è una penisola o che agosto è un mese invernale.
Si può legittimamente sostenere che esistono altri conflitti d’interesse oltre a quelli di Berlusconi, magari più insidiosi perché oscuri; si può sostenere che il ruolo dominante dei media di proprietà di Berlusconi e della sua famiglia si inserisce in un quadro di oligopolio, di cui fanno parte altre concentrazioni (Rai in primis) altrettanto anomale.
Ma non ci si può appellare al consenso popolare per negare un problema.

Insomma: il consenso – anche plebiscitario – di un leader non lo pone al di sopra di ogni critica. Esistono i diritti delle minoranze. Esiste il diritto – e il dovere – delle voci critiche di levare la propria voce per mantenere vigile la coscienza delle maggioranze. Abbiamo tutti la libertà – e dobbiamo avere la dignità – di invocare dai nostri politici (al di là di ogni appartenenza) decoro, rispetto per il loro ruolo e per le regole democratiche.

La tentazione di “chiudere un occhio” di fronte ad atteggiamenti – pubblici e privati - non condivisibili, per timore di avvantaggiare parti politiche lontane dalle nostre idee, può portare ad aumentare a dismisura la sicurezza di sé del “capo”, indurlo ad abbandonarsi ancor di più a tali atteggiamenti.


5. Come riportare i contenuti al centro del dibattito politico?

Che cosa fare di fronte alla distorsione del dibattito pubblico italiano, alla trasformazione delle critiche politiche in critiche personali, alla perdita di interesse sui contenuti?

Il problema, come visto, non è legato solo ad un malvezzo di politici ed organi d’informazione, ma anche alle caratteristiche proprie della figura di Berlusconi.

La soluzione radicale, ma sicuramente poco realistica, sarebbe quindi la disponibilità ad affrontare i nodi che riguardano il Cavaliere: conflitto d’interessi e concentrazione della proprietà di media.

Una soluzione più praticabile sarebbe che Berlusconi accettasse l’idea di comportarsi da monarca “costituzionale”, riconoscendo l’importanza dei contrappesi (istituzionali, politici, informativi), rinunciando a delegittimare la democrazia rappresentativa (altro discorso è l’importanza di riforme che garantiscano una più efficace azione dell’esecutivo), stabilendo un’effettiva democrazia interna nel Popolo delle Libertà, assumendo un profilo meno eccentrico (che non vuol dire serioso).

Anche le opposizioni e i mezzi di comunicazione non dovrebbero sottrarsi alle loro responsabilità.

L’opposizione di sinistra dovrebbe trovare il coraggio di ripensare identità e programmi,  rinunciando alle scorciatoie dell’antiberlusconismo sguaiato che rafforza il Cavaliere, o (la tentazione del PD) del bipartitismo forzoso.
L’opposizione di centro dovrebbe credere di più nei valori che proclama, tradurli in proposte concrete capaci di attrarre i moderati, curare la credibilità della propria classe dirigente.

I mezzi d’informazione dovrebbero rammentare che l’indipendenza di giudizio è un valore assoluto, e che l’incidenza sulla vita politica può essere la conseguenza indiretta di un’informazione seria e completa, non il frutto di campagne faziose.


6. L’uomo di Arcore è ancora credibile come beniamino dei moderati italiani?

Accanto alla questione del primato dei contenuti nel dibattito politico – che riguarda la vita democratica – esiste la questione della rappresentanza del centro-destra e dei suoi valori (moderati, conservatori, popolari e di ispirazione cristiana).

Questa rappresentanza è saldamente in mano, in questo momento, a Berlusconi. È prevedibile che tale leadership sia esercitata ancora a lungo? E che sia esercitata in maniera credibile?

Anche chi riconosce a Berlusconi importanti meriti storici, ci sembra rilevi negli ultimi anni un’involuzione del suo profilo politico.
Il consolidamento del suo potere lo ha portato a diventare sempre più insofferente per controlli, critiche, dissensi; lo ha portato a perdere molti freni inibitorî nei suoi atteggiamenti pubblici,.
Il desiderio di mantenere alta la popolarità, poi, allontana le scelte capaci di dividere la pubblica opinione.

Ne risente l’incisività della sua azione (che non può essere sempre rinviata ad un domani in cui non ci saranno più "crisi esterne" o "complotti" o "insufficienza di poteri" a limitarne l’azione); ne risente la sua credibilità come riferimento dei moderati italiani.

Non lo hanno aiutato, sin qui, quanti gli hanno consentito di sedersi sugli allori: le opposizioni faziose, ma anche amici servili o timorosi.

A nostro avviso, però, non potrà a lungo mantenere consensi dirottando il dibattito su un continuo referendum personale, aumentando la pressione sui mezzi d’informazione, denunciando le magagne delle opposizioni e ponendosi come “argine” contro la sinistra. Proporsi come il “meno peggio” è una ricetta che stanca ben presto.
Ma se pure riuscisse in questo intento, esiste un rischio ben peggiore: rimanere in sella forzando la mano, grazie alla propria abilità, rinunciando a dare rappresentanza credibile ai valori moderati pur continuando a proclamare questa rappresentanza, gioverebbe ai suoi interessi personali; con la conseguenza, però, che, quando dovrà passare la mano, si produca una crisi epocale di quei valori, si apra la strada ad un predominio politico e culturale della sinistra di tipo “zapateriano”.

La via d’uscita per Berlusconi, se vuole essere ancora protagonista credibile della vita pubblica italiana, è accettare di non esserne il dominus indiscusso.

Ma la via d’uscita, per i moderati, non può essere solo quella di confidare nell’assennatezza di Silvio. Bisogna esercitare le proprie scelte con coraggio, senza rifugiarsi nei personalismi: non esistono “uomini della Provvidenza” insostituibili.
I cattolici, in particolare, ma anche i non credenti che si riconoscono nei valori laici di ispirazione cristiana, debbono ricordare che il loro patrimonio politico è dato da una cultura dei valori complessiva, dal suo fondamento morale, che non possono essere abbandonate con uno scambio su pochi punti programmatici (come avveniva a inizio '900 col "patto Gentiloni").

Chi crede nella capacità di Berlusconi di recuperare un alto profilo, può spingerlo in questa direzione solo con una critica al tempo stesso serrata e costruttiva, che magari rafforzi gli esponenti del Popolo della Libertà con maggiore indipendenza di giudizio (Formigoni?).

Chi non crede nella capacità di Berlusconi di cambiare rotta, dovrà cercare di dar forza a quanti nell’area moderata (Casini e la nuova costituente di centro?) si pongono come alternativa, o preparare il terreno a nuovi protagonisti.



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