Il Granduca Henri del Lussemburgo
Capita molto di rado che un Capo di Stato si avvalga dei suoi poteri costituzionali per dissentire - soprattutto su temi bioetici - da leggi approvate dai parlamenti. Ebbene, con singolare coincidenza temporale, questa presa di posizione si è avuta a distanza di pochi giorni in due Paesi, Lussemburgo e Uruguay. Lo scorso 3 dicembre il Granduca Henri del Lussemburgo (uno dei sei stati fondatori della Comunità europea) si è rifiutato di sanzionare la legge che introduce nel Granducato l’eutanasia.
Con tempismo degno di miglior causa, il primo ministro lussemburghese del partito dei cristiano-sociali (che hanno votato in solitudine contro la legge, finendo in minoranza per pochi voti), Jean Claude Juncker, ha dichiarato che entro pochi giorni il Granduca sarà privato di questa prerogativa costituzionale. Juncker ha leggiadramente aggiunto: “Capisco i problemi di coscienza del Granduca. Con delle sfumature, ho gli stessi problemi”. Questione di sfumature...
Il Granduca ha fatto appello alla sua coscienza cristiana, seguendo l’esempio del suo celebre zio, re Baldovino di Belgio, che nel 1990 sollecitò la sospensione dei suoi poteri per non essere costretto a firmare la legge sull’aborto.
Lo scorso 4 dicembre il presidente socialista dell’Uruguay, Tabaré Vazquez, ha messo il veto ad una legge che voleva estendere i casi in cui è praticabile l’aborto.
Quella di Vazquez non è stata una mossa inaspettata. La sua posizione sul tema era già ben conosciuta: “il grado di civilizzazione di un Paese si misura per come la nazione tutela i diritti personali di tutti, per primo quello alla vita”. Non si tratta di una posizione basata su convincimenti religiosi, ma sulla propria esperienza di medico e di difensore dei diritti umani (in passato si era battuto contro i soprusi della dittatura militare uruguayana, divenendo poi il primo presidente di sinistra della storia di quel Paese): “L’aborto no, l’aborto mai. Sono un medico, sono per la vita e credo nella difesa dei diritti dell’uomo, anche di quelli più indifesi”. Vazquez, oggetto di forti critiche da parte dei colleghi del partito socialista, ha dato le dimissioni dallo stesso.
Come commentare questi eventi?
I sostenitori delle leggi che abbattono ogni barriera in difesa della vita potrebbero affermare che questi capi di Stato hanno dato prova di arroganza, ostacolando il dispiegarsi della volontà popolare.
Si tratterebbe però – a prescindere da ogni giudizio di merito sui temi bioetici – di un giudizio affrettato e superficiale.
In primo luogo, Henri del Lussemburgo e Vazquez non hanno effettuato “colpi di Stato”, ma si sono avvalsi delle loro prerogative costituzionali.
In uno Stato di diritto, infatti, il potere del Parlamento non è assoluto, ma regolato all'interno di una serie di contrappesi costituzionali, tra i quali quelli esercitati – nelle modalità previste dai diversi ordinamenti – dal Capo di Stato. Altrimenti, torneremmo al princeps legibus solutus, aggiornato alle forme di regimi in cui il parlamento è controllato dalla maggioranza parlamentare, controllata a sua volta dal partito o dai partiti che la esprimono, i quali troppo spesso rispondono a lobbies e poteri forti.
Anche in Italia il Presidente della Repubblica ha il potere (in passato già esercitato) di rinviare alle Camere una legge che ritiene in contrasto con i principî costituzionali.
Oppure questi contrappesi sono ammissibili solo finché non si frappongono alla “cultura della morte” e alle potenti lobbies che la sostengono?
In secondo luogo, va evidenziato che i Capi di Stato di Lussemburgo e Uruguay non hanno compiuto scelte facili e comode, ma hanno messo in gioco se stessi. Il Granduca mette a repentaglio il ruolo istituzionale della sua casata; il presidente Vazquez si assume il rischio di pagare un alto prezzo politico, rinnovando il coraggio già dimostrato contro la dittatura militare.
In terzo luogo, è priva di fondamento ogni accusa di voler imporre alla società personali convinzioni religiose. Lo attesta, come abbiamo visto, la posizione di Vazquez. Ma anche nel caso del Granduca l’appello alla propria coscienza cristiana non serve a imporre valori strettamente religiosi, ma a illuminare valori (diritto alla vita) che hanno piena dignità laica.
Infine, bisogna ribadire che, anche di fronte all’esercizio “dovuto” di poteri pubblici, non deve mai essere sacrificata la libertà di coscienza (e il collegato diritto all’obiezione di coscienza). Va sottolineata l’inaccettabile contraddizione del relativismo etico: mentre rivendica assoluta libertà di scelta nei comportamenti individuali, pretende di delegare alla sfera pubblica l’esercizio della coscienza morale, sostenendo che ogni scelta sarebbe moralmente lecita e doverosa per il semplice fatto di essere sancita da una maggioranza democratica.
In realtà, come abbiamo ampiamente evidenziato nell’articolo sul diritto naturale, la democrazia è una semplice “forma” delle decisioni pubbliche. Una forma insostituibile, certo, ma che non esonera la società (come vorrebbe il positivismo giuridico) dall’impegno di approvare norme fondate su criterî di giustizia e, soprattutto, sul rispetto dei diritti naturali inalienabili della persona umana. La soppressione delle persone più deboli (il bambino non nato con l’aborto, il malato grave o l'handicappato o l'anziano con l’eutanasia) è il tradimento della democrazia.
Spetta a noi tutti, nell’ambito del confronto democratico, riaffermare la necessità di tutelare i valori fondamentali. Per fortuna, esistono ancora uomini di Stato che condividono questo impegno e non hanno tacitato le loro coscienze.