Bruce Springsteen (a cura di Leonardo Colombati)
Come un killer sotto il sole. Il grande romanzo americano
Sironi editore, Milano 2007
Riprendiamo la recensione della raccolta di testi di Springsteen, accompagnata da note e saggi critici, che più di qualcuno ha considerato l’opera “definitiva” sul Boss.
Il 23 febbraio 1989 Walker Percy, vincitore del National Book Award nel 1962 con il romanzo L'uomo che andava al cinema, scrive una lettera al "Caro signor Springsteen" in cui si dichiara suo fan e confessa di aver appreso "da un articolo pubblicato da America, la rivista settimanale dei gesuiti, che lei è cattolico. Se ciò è vero, visto che lo sono anch'io sembrerebbe che noi due siamo delle rarità nelle nostre professioni: lei in quanto musicista post-moderno, io come scrittore, romanziere e filosofo. Oltre a questo c'è la sua ammirazione per Flannery O'Connor. È stata una mia grande amica, anche se era una cattolica molto più eroica di quanto lo sia io (...) Tutto questo per dirle che sono molto interessato al suo viaggio spirituale e se c'è in giro del materiale a questo proposito, le sarei grato se me lo facesse sapere".
Nel 1989 Bruce Springsteen aveva quarant'anni ma aveva già intrapreso quel viaggio spirituale che interessava molto Walker Percy, che però si dovette accontentare, perché all'epoca c'era poco "materiale in giro". Oggi ce n'è molto di più, di materiale; c'è, soprattutto, questo lungo saggio di Leonardo Colombati (Come un killer sotto il sole. Il grande romanzo americano) che, tra le altre cose, riporta anche questo scambio epistolare, illuminante, tra lo scrittore e il cantautore.
Nella sua lettera Percy rivela un paio di particolari molto interessanti: la matrice cattolica che permea tutta la produzione del cantautore, la comune passione per la narrativa della scrittrice Flannery O'Connor che si definiva "artista proprio perché cattolica". In effetti Springsteen, figlio di un irlandese e di un'italiana, è in qualche modo "destinato" a essere cattolico, e, oltre all'educazione familiare, uno dei fattori che lo ha maggiormente influenzato è stata la lettura dei racconti della O'Connor. Sono racconti cupi, dark, quelli della O'Connor che parlano del peccato e quindi della redenzione, tutti termini che ritroviamo nei testi di Springsteen che tracciano, in oltre trentacinque anni di carriera, quel viaggio spirituale oscillante continuamente tra le badlands e la promised land (per citare i titoli di due famose sue canzoni), e che tanto ha intrigato uno scrittore come Percy venti anni fa. Come un killer sotto il sole (citazione dalla una delle più belle canzoni di Springsteen, Thunder Road) non ha fatto solo la gioia dei tantissimi fan italiani del boss (come sin dall'inizio della sua carriera viene chiamato Springsteen), ma rappresenta anche un "punto di non ritorno" nello studio del rock americano e del celebre cantautore.
Non è facile definirlo, questo libro, come non è facile definire neppure il curatore: Leonardo Colombati, trentasette anni, redattore della rivista Nuovi Argomenti, con il romanzo d'esordio, Perceber e poi con Rio ha tirato due sassi di grosse dimensioni nello stagno della letteratura italiana. Eppure sembra che la sua vera passione sia solo il rock. In realtà tutto si tiene, da una parte è facile osservare come la finezza dello scrittore è pari a quella mostrata in questa sua prima opera saggistica, dall'altra è evidente che questo suo omaggio alla rockstar è in realtà un saggio di letteratura, come rivela il sottotitolo Il grande romanzo americano. È questa l'idea di fondo: Springsteen non è solo il capo di una delle più celebri bande rock degli ultimi decenni, ma è anche, secondo la tesi sostenuta dal libro, uno dei grandi scrittori americani viventi; la sua produzione si inscrive nel solco di una letteratura che ha come progenitori autori del calibro di Melville e Poe, e che continua attraverso le opere di Lee Masters, di Steinbeck e ora di Carver, De Lillo, MacCarhty.
Da qui la difficoltà di definire il corposo volume curato da Colombati, non solo perché attraversa con disinvoltura, i campi contigui ma distinti della poesia, della canzone e della narrativa, ma anche perché si tratta di un libro articolato in diverse sezioni col rischio quasi di disorientare il lettore, perfino i più "eruditi" sull'argomento. Scorrendo l'indice si trova, dopo la breve ma intensa prefazione di Ennio Morricone, il lungo saggio di Colombati: centoquindici pagine appassionanti di storia del rock, di percorso intelligente e profondo tra le pieghe dell'avventura musicale statunitense, sorprendente per massa di informazioni e agilità narrativa, che si apre con un paragrafo significativamente intitolato "Canzoni o poesie?", questione che si sviluppa concludendosi in un finale ricco e stimolante. Molto belle le ultime pagine sulla poesia, e in particolare su Carver e Whitman e il loro legame con l'opera di Springsteen.
Ma questa, per quanto ricca e piacevolmente non convenzionale, è solo la prima parte del volume che poi si spalanca nella parte centrale, il vero cuore di quel romanzo americano che è la parte in cui il curatore ha lasciato il campo al suo autore: centotredici canzoni (circa la metà, su un totale di 247) di Springsteen presentate con il testo a fronte che Colombati non solo ha tradotto in italiano ma ha anche disposto in modo coerente rispetto all'assioma di partenza per cui Springsteen non è un cantautore ma un romanziere. Divisi in quattro grandi capitoli (Giungla d'asfalto, Buio ai margini della città, Questa dura terra, Giorni migliori), i testi sono ordinati non in senso cronologico ma seguendo il percorso di una storia, perché lungo i trentacinque anni della produzione musicale springsteeniana, si sviluppa un romanzo, che coincide con la storia e l'epica americana.
Un'idea semplice e funzionale. Il lettore entra nei testi, peraltro ben tradotti, delle canzoni e si appassiona come se leggesse un romanzo: le canzoni cambiano ma i personaggi, i luoghi, i paesaggi, i temi sono costanti, sempre quelli. Nelle ultime sezioni del libro c'è ancora spazio per ascoltare la voce del cantautore, "Inseguire quel sogno" è una sorta di "autoritratto": non c'è più il romanzo scritto dal boss, ma è il boss stesso che si racconta in meno di quaranta pagine, attraverso brani estratti per lo più da libri e interviste raccolte lungo il cammino musicale e spirituale dell'uomo e dell'artista Springsteen. Il volume si chiude poi con una serie di appendici a carattere statistico, preziosissime per il lettore, non solo il fan del cantautore americano. Tutto il libro confezionato da Colombati non è un libro per soli "addetti ai lavori" o per soli appassionati, perché al centro c'è quel viaggio spirituale di cui chiedeva informazioni Percy circa venti anni fa. I luoghi che Springsteen attraversa nel suo viaggio sono luoghi universali, di ogni uomo: dal rapporto col padre, alle relazioni d'amore, dalla voglia di fuga e di riscatto al desiderio di liberazione e di significato (Deliver me from nowhere, Portatemi via da questo nulla, canta Springsteen agli inizi degli anni Ottanta), fino alla riscoperta della paternità e della famiglia, il viaggio del boss è il viaggio di ogni uomo alle prese con il suo essere figlio, gettato in questo mondo e alla ricerca di un senso profondo dell'esistenza. Non è un caso che Colombati ponga al termine del "grande romanzo americano" due canzoni forse meno note ma significative nella produzione di Springsteen: Living Proof e Long time comin' che contengono due veri e propri inni alle gioie della paternità. Il ragazzetto della periferia del New Jersey è cresciuto, il viaggio non è concluso e le ombre delle badlands circondano sempre la strada, ma la tensione è sempre forte, una tensione calda e vitale che spinge verso la promised land.
pubblicato su L’Osservatore romano
Un nostro profilo di Springsteen