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Il nichilismo può essere bello? Critica al pessimismo di Umberto Galimberti Stampa E-mail
18/06/08

Pessimismo o realismo?

Ho letto il libro del professore Umberto Galimberti L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani [U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2007]. Per i particolari vi rimando alla recensione che ne ha fatto Antonio Corollo (http://www.girodivite.it/L-ospite-inquietante-tra-i-giovani.html), precisa, sintetica e chiara.

Durante la lettura soprattutto della prima parte del libro sono stato pervaso da un profondo senso di pessimismo. Un tragico pessimismo della condizione attuale del mondo e nella fattispecie di quello dei giovani, un pessimismo che accompagna il lettore pagina dopo pagina con qualche raro slancio di vitalità tipico dell’autore, quasi incazzato per come stanno le cose. Solo verso la fine dedica qualche pagina alla speranza e ad un barlume di luce che si può intravedere all’orizzonte.

Forse il professore Galimberti non è d’accordo con me e accetterebbe di buon grado sostituire il sostantivo “pessimismo” con quello di “realismo”. Dipende dai punti di vista. Dipende da come si guarda il mondo. Da qui, dall’idea che ho io del mondo voglio iniziare la mia riflessione.


Come io vedo il mondo

Come ho già avuto modo di scrivere altrove [chi vuole approfondire può leggere un mio precedente articolo, La scienza è ignorante. Critica allo scientismo persistente (http://www.girodivite.it/La-scienza-e-ignorante-Critica.html)] , io credo che il Mondo, quello che conosciamo, quello che viviamo sia una nostra creazione. Ognuno di noi crea il suo mondo e interagisce con quello degli altri. Il mondo può essere bello e può essere brutto a secondo di come ognuno lo vive. Un uomo può vedere in un tramonto la bellezza della natura e viverlo con serenità, un altro uomo può ravvisarne i colori cupi e tetri della fine del giorno e viverlo con angoscia. Hitler giudicava con convinzione la democrazia come il peggiore dei mali per una nazione. L’America giudica la democrazia come il più grande bene che il destino possa averle riservato. Sono solo alcuni esempi di come le cose possono essere viste diversamente.

Al mondo diamo noi senso, il mondo è quello che ci costruiamo. La filosofia, l’arte, la scienza e la religione sono modi tipici di costruire il mondo, di dare senso al mondo, di interpretarlo per costruirci un raggio d’azione, in cui poter vivere e agire. La consapevolezza di ciò che è il mondo è il risultato di una nostra creazione.


Il mondo secondo Galimberti

Non so a tal proposito come la pensa il professor Galimberti, forse dopo averlo letto potrei anche azzardare, ma non è importante ai fini del nostro discorso. Perché, comunque la pensi il filosofo/psicanalista, leggendo il suo libro ha procurato a me ripetutamente angoscia e pessimismo. Una disamina dura sulla condizione delle giovani generazioni afflitte dall’imperante nichilismo, dal crollo dei valori assoluti, dei valori guida e di riferimento per una società che va alla deriva. Mi ripeto, parlo di sensazioni ricevute dalla lettura del suo testo sui giovani e il nichilismo. Nella recensione di Corollo, citata sopra, leggiamo: «Oggi i giovani stanno male, dice Galimberti, non per le crisi esistenziali ma perché tra di loro si aggira un ospite inquietante, il nichilismo, che “penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui. […] Il futuro non è più percepito come promessa ma come minaccia. Da ciò la crisi: la psiche è sana quando è aperta al futuro. Il futuro chiude le sue porte o si apre per presentarsi come incertezza, inquietudine, precarietà, insicurezza; si spegne ogni iniziativa, scemano le energie vitali, si svuotano le speranze, dominano la demotivazione e l’impotenza. La crisi attacca i fondamenti stessi della nostra civiltà. Sono crollate la visione ottimistica del mondo, la convinzione che la storia dell’umanità è una storia di progresso e di salvezza».

I più ottimisti potrebbero ancora ribattere che quello di Galimberti è realismo e non pessimismo, tanto più che egli non si esime dall’indicare, negli ultimi capitoli del libro, soluzioni aperte alla speranza di un mondo migliore, facendo proprio della speranza nell’uomo e delle sue doti la via di scampo. Chiude Corolla parafrasando lo scrittore: «L’esistenza è giustificata non dalla ricerca di un senso, ma dall’arte del vivere che consiste nel riconoscere le proprie doti e nel saperle mettere a frutto approdando così a “quell’espansione della vita a cui per natura tende la giovinezza e la sua potenza creativa”».

Riassumendo. Allo stato attuale i giovani sono messi male, sono andati alla deriva a causa del nichilismo, ma non devono abbandonarsi, anzi devono far leva sulle qualità racchiuse dal “segreto della giovinezza”.

E’ l’idea del mondo di Galimberti, nella fattispecie del mondo giovanile. Punti di vista.


Popper contro Galimberti

Adesso vi propongo un’altra idea del mondo, un’altra finestra da cui guardare il mondo giovanile, quella di Karl Popper, filosofo austriaco passato da quindici anni a miglior vita. Nella quarta di copertina del suo libro Alla ricerca di un mondo migliore [K. R. Popper, Alla ricerca di un mondo migliore, Edizione CDE spa su licenza di Armando Armando s.r.l., Milano 1997] l’autore esordisce: «Al giorno d’oggi sembra quasi che tutti i pensatori contemporanei, il cui buon nome valga soltanto una lira, siano concordi sul fatto che viviamo in un tempo davvero infelice […] Devo confessare che reputo fondamentalmente errata questa visione pessimistica del nostro tempo. La considero una moda pericolosa […] La forma di società in cui viviamo noi in Occidente è, nonostante numerosi difetti, la migliore di cui abbiamo conoscenza». E’ questo un altro esempio che si aggiunge a quelli summenzionati di come sul medesimo argomento si possono avere visioni diverse. E infatti se da un lato Galimberti afferma che: «Inquinamenti di ogni tipo, disuguaglianze sociali, disastri economici, comparsa di nuove malattie, esplosioni di violenza, forme d’intolleranza, radicamento di egoismi, pratica abituale della guerra hanno fatto precipitare il futuro dall’estrema positività della tradizione giudaico-cristiana all’estrema negatività di un tempo affidato a una casualità senza direzione e orientamento […] [che fa] della crisi attuale qualcosa di diverso dalle altre a cui l’Occidente ha saputo adattarsi, perché si tratta di una crisi dei fondamenti della nostra civiltà» [U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, p. 27-28], dall’altra Popper ammonisce: «Il pessimista vede solo declino e tramonto […] L’ottimista osserva che scienza e tecnica hanno procurato alla maggior parte degli uomini in Europa e in America un moderato benessere e che la terribile miseria delle masse del secolo scorso è pressoché annientata in ampie parti del globo» [K. R. Popper, Alla ricerca di un mondo migliore, ed. cit., p. 228]. Il pessimismo di Galimberti è, nonostante tutto, nonostante lui rifiuti questa interpretazione, un pessimismo esistenzialistico, leopardiano, e tali sono i suoi “versi” nel raccontarci il “tramonto della cultura occidentale”: «La tristezza che invade è la tristezza del tramonto, quando il sole cede il posto a una luna che è malvagia perché giunge a concludere un giorno in cui il lavoro è stato vano, perché la terra si è disseccata, i frutti non hanno risposto alle attese, le fonti si sono prosciugate e nessun abisso si è dischiuso a inghiottire l’uomo, che dunque resta testimone dell’aridità della terra, del niente che ne è nato. Il nichilismo conclude la “terra della sera” e custodisce il senso del tramonto». [U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, p. 19]


Alla ricerca di un mondo migliore. Nichilismo e ottimismo

Punti di vista, si diceva. C’è chi preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno e chi mezzo vuoto. Ed è proprio nel modo in cui ci poniamo nei confronti della vita che le cose possono cambiare. Lo stesso Galimberti in quanto psicanalista dovrebbe insegnarcelo: non si esce dal pessimismo e dalla depressione che ne segue se si continua a piangersi addosso. Non usciamo vivi dal nichilismo se non cominciamo a considerare il mezzo bicchiere pieno, se non cominciamo a sorseggiarlo, a gustarlo e a dissetarci nella pienezza della vita. La parola nichilismo, dal latino nihil, nulla, viene corteggiata da chi è disperato, da chi vede o ha già visto affondare tutti i suoi punti di riferimento. Io propongo di guardare il nichilismo non più con la disperazione dell’ “ultimo metafisico”, quale fu il filosofo Nietzcshe [è celebre la descrizione che il filosofo Heidegger diede di Nietzsche come “ultimo metafisico”], perché dietro la volontà di potenza, dietro il suo slancio esasperato, c’è il tormento di chi vive il salto dalla certezza di ciò che non c’è più all’incertezza di ciò che non c’è ancora. Il nichilismo, signore e signori, ecco la buona notizia, può essere bello! Può essere bello se ammiriamo e apprezziamo la fine dell’Autorità, con la “A” maiuscola, che pretendeva di custodire delle regole eterne in ogni tempo ed in ogni luogo senza rispettare le differenze che con forza si presentano e rivendicano riconoscimento. Il nichilismo è bello se gioiamo del fatto che per la morte di Dio non dobbiamo portare il lutto per più di tre giorni. Il dolore, la tristezza, l’angoscia e lo smarrimento per la perdita di un Padre che tanto ci ha dato e tanto ci ha tolto non devono accompagnarci per tutta la vita. Lo ringraziamo per quello che ha fatto di buono, ma da lui, dal suo mantello protettivo ci congediamo, anche perché la ragione dell’Illuminismo non ce lo consente più, non ci permette di mettere la testa sotto la sabbia per non scorgere la salma nella bara. Forza e coraggio, orfani di Padre, bisogna far leva sulle proprie gambe e se siamo furbi, noi figli del Cristianesimo faremo tesoro del più grande insegnamento di Dio, la solidarietà tra gli uomini, un’arma questa che meglio ci aiuterà a lenire dolore e dispiacere.

Il nichilismo può essere bello se apprezziamo la libertà che abbiamo avuto in sorte. Se apprezziamo, dopo il lutto, l’eredità della gestione del potere che ci consente meglio di determinare la nostra vita. Rimasti ormai soli, in preda alle paure ed al terrore della crudeltà della vita, senza nessuno che ci possa proteggere dall’alto, ma, si spera, con l’Amore tra fratelli, disponiamo della libertà e dell’autonomia da gestire in accordo con gli altri. E allora scopriamo che è bello un mondo che ogni giorno noi creiamo, perché no, rispettando anche la memoria di Dio Padre Onnipotente che in punto di morte ci consegnò il Paradiso. Un’altra eredità da gestire autonomamente e che solo grazie alle nostre capacità potremo rendere più bella e fruttuosa o in alternativa distruggerla e annientarla. Tutto ciò che ci può essere di buono in questa eredità sta a noi figli saperlo maturare.

Da oggi noi creiamo il mondo. Il mondo di cui parliamo, il mondo che vediamo e che raccontiamo è un mondo che non esisterebbe senza di noi. Oggi gran parte della filosofia contemporanea dopo aver sofferto per prima il morbo del nichilismo con la morte della metafisica, ha accettato tutto ciò e inizia a guardare il futuro con più ottimismo come fa Popper o anche l’ancora poco conosciuto Richard Rorty che, in un mondo privo di valori assoluti, non può dirci dove dobbiamo arrivare, perché ormai non c’è nessuna Verità ultima da raggiungere, ma può solo proporre da dove dobbiamo partire: «Noi dobbiamo cominciare da dove siamo» [R. Rorty, La filosofia dopo la filosofia, Editori Laterza, Bari 2003, p.227]. Noi dobbiamo prendere atto della nostra condizione attuale, che come vuole Galimberti è sicuramente anche di angoscia e smarrimento, ma è soprattutto ricca di spunti positivi, di maggiore libertà, autonomia, ricchezza intellettuale. Dobbiamo cominciare da qui, da dove siamo per realizzare un mondo migliore.


Una scienza a misura d’uomo

A tal proposito non mi stancherò di ripetere come ho fatto altrove [G. Schiava, La scienza è ignorante. Critica allo scientismo persistente (http://www.girodivite.it/La-scienza-e-ignorante-Critica.html)], unendomi al coro unanime dei filosofi contemporanei, che se la scienza è il risvolto più eclatante di questa rivoluzione, se è grazie alla ricerca scientifica che oggi possiamo essere più ottimisti, se è grazie alla scienza che oggi possiamo fare gli spavaldi dinnanzi alla morte di Dio, perché ci restituisce protezione e garanzie, la stessa scienza ci tiene ancora agganciati al passato. Me ne guardo dal fare un discorso generale e onnicomprensivo mettendo nel calderone tutti gli uomini di scienza, però gran parte degli scienziati sono convinti che la scienza fornisca delle verità, che quelle che noi chiamiamo con un linguaggio ancora di vecchio stampo metafisico “scoperte” non siano dei modelli costruiti dall’uomo secondo un criterio finalizzato ad ottenere delle soluzioni a problemi e pertanto utili ad orientare il nostro agire, a realizzare un senso di vita, ma al contrario siano verità oggettive che esistono per come le conosciamo a prescindere da chi le conosce. Questi uomini ci precipitano nel passato ammantando le loro opinioni di cosiddetta “autorità scientifica” per suggellare la loro posizione. Essi sono invece i riesumatori di quel cadavere che abbiamo faticato con tanto dolore a seppellire, il cadavere di Dio, il cadavere della Metafisica, il cadavere dell’Autorità, di tutto ciò che si presenta come eterno, immutabile e incangiabile e che pretende di avere diritto di sentenza definitiva su ogni aspetto della nostra vita. Le leggi scientifiche non sono delle verità che stanno “là fuori” [espressione di Rorty] in attesa di essere scoperte dalla nostra ragione [ovviamente anche ciò che si indica usualmente con il termine “ragione” serve solo a definire a noi stessi un qualcosa che non è mai definitivo e che aiuta ad orientare la nostra comprensione], al momento possiamo solo constatare che la nostra ragione si adopera con tutte le sue armi ad organizzarci il mondo. Penso a personaggi conosciuti molto per le loro polemiche contro la religione e poco per i meriti strettamente professionali. Piergiorgio Odifreddi, Richard Dawkins, Sam Harris si prodigano a dimostrare l’inconsistenza e il danno di ogni religione difendendo l’ateismo e contrapponendo a quelle le verità scientifiche. Un grido di sdegno si eleva sin dagli scritti di Nietzsche. Questi uomini non fanno che sostituire le verità delle religioni tradizionali con le verità della scienza. Nessuna verità, solo l’uomo e le sue creazioni.

Se dobbiamo essere più ottimisti forse soprattutto grazie alla scienza, di essa ce ne dobbiamo appropriare. La paure di una scienza che sfugge al controllo e che sovrasta l’uomo c’è solo se ad essa riconosciamo Autorità e Verità che ci sovrastano. Una scienza ricondotta a misura d’uomo, che riconosce il senso della sua missione, che non ha e non può avere alcun titolo sopra l’uomo ci libera da tutti quegli spettri che hanno dominato gli ultimi due secoli.

Il nichilismo può essere bello se non accettiamo che una nostra creazione come la scienza possa dettare le regole del nostro gioco. Il nichilismo è bello se sovvertiamo l’idea pericolosa, non ancora morta come è morto Dio, che la scienza abbia l’Autorità di dirci come è il mondo là fuori, di svelarci una realtà oggettiva che non dipenda in alcun modo da chi cerca di indagarla, da chi in vero se l’è creata.


L’ottimismo salverà il mondo

Questo è ottimismo, questo è credere nell’uomo, incoraggiarlo e proporgli nuove vedute che possano riscattarlo dalle insidie della mortificazione. Al professor Umberto Galimberti dico che purtroppo facendo lo psicanalista e avendo a che fare quotidianamente con il male e il dolore e non con il bene e la felicità lui tende inevitabilmente ad avere una visione pessimistica della vita, talmente pessimistica da inondare il cuore di chi ha avuto il desiderio di leggerlo.

A me, inguaribile ottimista, piace pensare che un giorno il sorriso di un uomo salverà il mondo.

Giovanni Schiava

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