(...) Il segnale politico forte che si ricava dal referendum irlandese è che, praticamente ogni volta che in questo o quel Paese è interpellato, il popolo vota contro l'Unione. Successe così in Francia e Olanda in occasione del referendum di ratifica dell'ambiziosa Costituzione. È successo ora con il ben più modesto Trattato. Neppure questa pezza ha convinto gli Irlandesi, che pur dall'Europa han ricevuto tanto, e ben lo sanno, visto che assai bene lo hanno anche speso per il loro progresso. Sono forse ingrati gli irlandesi, o magari un po' 'bifolchi', come erano 'protestatari' i francesi e troppo 'egoisti' gli olandesi?
No, il punto è un altro. Ed è precisamente che in questi anni, il progressivo scivolamento di autorità e competenza verso Bruxelles ha significato un oggettivo spossessamento di sovranità non degli Stati europei (i cui responsabili han fatto subito quadrato intorno a Barroso), ma dei popoli europei. Il cittadino europeo sa infatti che col suo voto può mandare a casa i suoi governanti nazionali, ma che nulla può fare davvero per tutelarsi dalle decisioni che la tecnocrazia politico-burocratico-giudiziaria dell'Unione assume quotidianamente, al riparo di una sostanziale irresponsabilità politica.
Qual è il posto del popolo sovrano nella costruzione della postmoderna Unione? Dove sono i meccanismi attraverso i quali i governanti siano efficacemente fatti responsabili innanzitutto verso i governati?
Ai nostri occhi si presenta una costruzione che sembra sempre più allergica alla presenza dell'elemento politico insostituibile per la legittimità di qualsiasi costruzione democratica: il popolo con la sua sovranità. E il popolo non perde occasione per ribellarsi all'Europa dei bramini e dei grand comis, di ribadire che non gli sta bene di essere in qualche modo governato e di ricordarci che il 'governo della legge' senza il corollario necessario della 'legittimazione attraverso il consenso del popolo' è cosa ben diversa dalla democrazia liberale.
pubblicato su Avvenire