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Musica - Recensioni e Profili
Il segno del Boss Stampa E-mail
Un profilo di Bruce Springsteen, il Boss del rock
      Scritto da Giovanni Martino
16/11/04
Ultimo Aggiornamento: 06/02/09

(“Nel mondo ci sono solo due tipi di persone: quelle che adorano Bruce Springsteen,
e quelle che non l’hanno mai visto in concerto”
Larry Katz, Boston Herald)

springsteen_estreet_oggi.jpgIl “Boss” è Bruce Springsteen. Il suo segno è quello, indelebile, che ha lasciato e continua a lasciare nella storia della musica rock (ma non solo). Un esempio unico di longevità artistica, da oltre trent’anni sulla cresta dell’onda. Ma questa recensione non vuole essere una nostalgica retrospettiva su un grande del passato. Springsteen è ancora il presente del rock: nel 2008 è stato il secondo cantante mondiale (dopo Bon Jovi) che ha raccolto più spettatori (oltre due milioni) ai suoi concerti! E questo perché conserva la sua carica esplosiva; perché dimostra una continua capacità di sorprendere, di rinnovare la sua vena creativa, di conquistare nuove generazioni di appassionati.

Parliamo di un artista a tutto tondo – scrittore di testi, compositore di musiche, arrangiatore, musicista e, soprattutto, concertista – che può essere collocato a buon diritto sul podio dei grandi della musica pop-rock moderna. Azzardo una classifica. Sul gradino più alto, inevitabilmente, i Beatles, ‘creatori’ di un genere. Al secondo posto: Elvis Presley (il più grande in assoluto come voce e come interprete, ma col ‘limite’ di non essere autore), U2, Springsteen, Pink Floyd, Genesis, Queen, Beach Boys e… il tuo artista-complesso preferito! Su un gradino ancora più basso gli altri e … attendo la valanga di critiche, aggiunte e correzioni! Specificando che ho volutamente tralasciato gli artisti più attuali: i grandi hanno bisogno di tempo per poter dimostrare di essere tali. Ho tralasciato altresì i pur immensi interpreti del jazz, del folk, del rhythm and blues, della musica d’autore.

Ma torniamo al Boss, come lo chiamano i fan e gli stessi membri del suo complesso, la E Street Band, con cui ha sempre suonato (salvo brevi interruzioni). Perché mettere Springsteen tra i più grandi?

Innanzitutto - non so se sia motivo sufficiente … – piace sia al pubblico, sia alla critica. Decine di milioni di album venduti (ventuno milioni solo per Born in the U.S.A., un anno ai vertici delle classifiche statunitensi e lungamente ai vertici anche di quelle europee e mondiali), milioni di spettatori ai suoi concerti. Piace – ovviamente – al pubblico americano, che lo ha eletto più volte artista dell’anno nei referendum della rivista Rolling Stone. Ma è anche uno degli artisti americani più apprezzati dal pubblico europeo ed internazionale. Quanto ai critici: ha vinto varî Grammy, l’Oscar con Street of Philadelphia, guadagnato le copertine di Time e Newsweek, … possono essere state meno apprezzate alcune sue incisioni o esibizioni, ma è raro trovare chi non gli riconosca un posto di vertice nella musica moderna.

Se poi ci domandiamo le ragioni di questo successo, ogni critico, ogni fan di Springsteen potrebbe fornire la sua versione (chi fosse interessato, per esempio, a conoscere l’opinione di Bono Vox, la trova nel discorso con cui il leader degli U2 ha introdotto Springsteen nella Rock ’n Roll Hall of Fame, su www.loose-ends.it). Io cercherò di fornire la mia.

Innanzitutto, va detto che moltissimi artisti hanno creato belle canzoni, anche pietre miliari nella storia della musica, che però spesso sono restate episodi isolati, gemme incastonate in una produzione mediocre. I veri ‘grandi’ sono quelli che di pietre miliari ne scolpiscono parecchie, che hanno un repertorio in cui le gemme non siano rare. Ebbene, il Boss ha un repertorio immenso, di oltre duecento pezzi (!), scritti anche per altri artisti (basti pensare a Because the night incisa da Patti Smith); e la maggior parte di questi pezzi avrebbe potuto essere il cavallo di battaglia di qualsiasi altro cantante. Di recente è uscito The Essential, un triplo CD che contiene oltre quaranta brani: i suoi maggiori successi, oltre a qualche inedito. Ebbene, in tanto ben di Dio non hanno trovato posto pezzi ormai “mitici” (New York City Serenade, Backstreets, Cadillac ranch, No Surrender, I’m on fire, Tougher than the rest, Waitin’ on a sunny day, …).  Aggiungiamo che Springsteen è un “rocker” vero, ma al tempo stesso fuori dagli schemi. I luoghi comuni sull’artista (e sulla musica) rock sono spesso due: quello dell’artista “rock ’n roll” superficiale e commerciale, che strizza l’occhio al pop ed esprime la voglia di evasione dei giovani. Oppure quello dell’artista ‘maledetto’, ribelle, “sesso, droga e rock”, che esprime la rabbia giovanile, il disagio di non riuscire ad integrarsi nella società. Springsteen non rientra in nessuno di questi schemi.

Senz’altro non in quello dell’artista di evasione, disimpegnato. Non sono certamente di questo genere i suoi testi (che, evidentemente, può apprezzare appieno chi mastichi l’inglese o si sia preso la briga di leggerne le traduzioni). Nello stile narrativo è stato davvero un innovatore, il creatore di una poesia urbana e visionaria, che a tratti vuole quasi conferire una dimensione epica alla quotidianità. I protagonisti delle sue storie sono personaggi comuni, i giovani delle periferie urbane americane, i lavoratori, gli emarginati. Uomini e donne che combattono con i loro problemi, ma inseguono anche i loro sogni, i loro amori, non sentendosi definitivamente sconfitti, perché sanno di essere “nati per correre”; o, se sconfitti, sanno esserlo con dignità.

"The higway's jammed with broken heroes on a last power drive
Everybody's out on the run tonight but there's no place left to hide
Together Wendy we'll live with the sadness
I'll love you with all the madness in my soul
Someday girl I don't know when we're gonna get to that place
Where we really want to go we'll walk in the sun
But till then tramps like us baby we were born to run..." (da Born to run")

("Le autostrade sono piene di eroi distrutti alla guida della loro ultima possibilità
Sono tutti in fuga, stanotte, ma non è rimasto più nessun posto dove nascondersi
Insieme Wendy possiamo sopportare la tristezza
Ti amerò con tutta la pazzia della mia anima
Un giorno ragazza, non so quando, arriveremo in quel posto
Dove davvero vogliamo andare e cammineremo al sole
Ma fino ad allora i vagabondi come noi sono nati per correre...")

Nelle storie narrate traspare molto spesso una venatura religiosa, un richiamo a Dio, soprattutto negli ultimi album (vedi The Rising, Magic, o la bellissima Jesus was an only son inserita in Devils & Dust). Bruce ha ammesso che ciò deriva da un’educazione cattolica (è figlio di un irlandese e di un’italiana…), che ha segnato il suo immaginario, e che sta riscoprendo sempre di più negli ultimi anni.

Springsteen spazia dalla tematica intimistica a quella sociale, e adatta ai contenuti anche il suo stile musicale. Strumentazioni e melodie non sono mai ripetitive: se la cifra stilistica fondamentale è il rock, nel senso più classico e roboante del termine (entusiasmanti crescendo di percussioni, chitarre e bassi), è pur vero che i suoi pezzi si aprono a diverse contaminazioni. Contaminazioni che si fondono sempre ‑ anche grazie alla voce profonda e inconfondibile – in un’identità 'springsteeniana': così nella struggente ballata folk (ad esempio con armonica o sax), nel brano acustico (sola chitarra), nel pezzo più allegro e trascinante con venature pop. I brani - soprattutto quelli dei primi anni - sono molto lunghi, e non hanno un schema fisso (strofa-ritornello), bensì uno sviluppo 'narrativo' ricco di variazioni. Il tutto in sintonia con la storia (qualcuno ha parlato di "immagini rese con la musica"), talvolta con il gusto del contrasto: ritmo allegro e ballabile adattato ad un testo fortemente drammatico.

Springsteen ha dimostrato il suo impegno sociale non solo con la sua produzione musicale, ma anche contribuendo a numerose iniziative di beneficenza e di sensibilizzazione. E cercando di evitare, allo stesso tempo, di esporsi troppo e di essere strumentalizzato politicamente. Almeno fino alle ultime elezioni presidenziali americane.
Nel 2004 scelse di appoggiare apertamente il candidato democratico John F. Kerry, partecipando al Vote for change, un tour insieme con altri artisti a sostegno del candidato. Nel 2008 ha sostenuto l'elezione di Barack Obama, aprendo e chiudendo (il 18 gennaio 2009) il concerto che ne ha festeggiato l'insediamento presidenziale.  
Scelte che hanno creato inizialmente sorpresa e un aperto dibattito tra i suoi fan, visto che il Boss aveva sempre avuto un pubblico politicamente trasversale. Questo perché non rientra neanche nel secondo schema semplicistico dell’artista rock: quello ribelle e antisistema.

Springsteen ha una sensibilità sociale (anch'essa cresciuta negli anni) che non lo rende certo vicino alla destra radicale (se qualcuno ‑ ricordandolo cantare Born in the U.S.A. con la bandana a stelle e strisce ‑ ha pensato ad un esaltato nazionalista, lo ha frainteso). Ma la sensibilità espressa da Springsteen non è quella che noi definiremmo “di sinistra”. E' un "democratico", certo; ma chi conosce la realtà americana sa che i Democratici non si identificano affatto con la sinistra europea. Il Boss partecipò con altri artisti al tour “No nuke”, contro la proliferazione di centrali nucleari; ma si rifiutò di sottoscrivere il manifesto politico degli organizzatori. Ha criticato l’intervento in Iraq; ma perché non autorizzato dalle Nazioni Unite, e diventato un pantano per gli U.S.A.; e dopo che aveva giudicato inevitabile l'intervento in Afghanistan in conseguenza della tragedia dell’11 settembre. Insomma, non abbiamo di fronte un pacifista a senso unico. Sulle tematiche sociali, i testi delle sue canzoni non hanno mai espresso vittimismo o rabbia distruttiva, non hanno mai invocato rivoluzioni, ma hanno sempre visto nella responsabilità personale e nella tenacia la strada del riscatto. Bruce non ha contestato in radice il “sogno americano”, ma ha criticato la mancanza di politiche che rendano questo sogno accessibile a tutti. È un americano critico, non un antiamericano. Un artista problematico, lontano dagli slogans ad effetto e superficiali.

Di recente è uscito We shall Overcome (The Seeger session), una raccolta di storiche cover scritte o rilanciate da Pete Seeger, e diventate nel secolo scorso simbolo delle lotte per i diritti civili. Canzoni "politiche"? In senso lato, di ideali, certamente sì. Ma senza voler suggerire sistemi sociopolitici concreti, senza volersi schierare. Lo dice Springsteen stesso:
"Quando venne l'idea di fare We Shall Overcome io reagii: 'Non posso farla': tutti conoscono quella canzone come un'icona [del movimento per i diritti civili]. Ma cos'era prima di diventarlo? Così tornai indietro, guardai e mi accorsi: 'Oh, è una preghiera. Quella posso farla. Io so come pregare.' (...) Non sono arrivato a questo materiale da una prospettiva politica, dall'idea di dimostrare questo e quello. Ho solo preso le canzoni che mi piacevano dai dischi di Pete. (...) Ascoltare [il materiale registrato per il tributo a Pete Seeger] era un sollievo, sai? Era solo gente che suonava. E trasmetteva divertimento".

Springsteen non è stato un anticonformista neanche nella vita privata. Al di là di qualche “zingarata” giovanile, o della voglia di scherzare col suo gruppo - che è innanzitutto un gruppo di amici -, ha sempre tenuto ad un’immagine pulita. Dopo un breve matrimonio con una modella, si è risposato con una corista della sua band (Patti Scialfa), con la quale vive felicemente da vent'anni e dalla quale ha avuto tre figli. Il suo fisico allenato lo rende ancor oggi, a sessant’anni, in grado di reggere a quasi tre ore di concerti scatenati.

E veniamo quindi all’aspetto per cui il “Boss” è certamente il numero uno: i concerti (come ricorda la celebre frase di un giornalista americano che abbiamo riportato in epigrafe). Le sue esibizioni - soprattutto quelle rock con la E Street Band - sono una scarica di adrenalina ininterrotta: in quelle tre ore salta, corre da un lato all’altro del palco, canta (e canta per davvero, non come certi cantanti sfiatati, che girano il microfono verso il pubblico per lasciare cantare gli spettatori). Ma adrenalina non significa “sballo”. I suoi concerti non sono esplosioni di rabbia, ma trasmissione di emozioni profonde, che restano dentro anche dopo. Sa eccitare, ma anche commuovere o far riflettere. Ogni concerto, poi, è una sorpresa: negli arrangiamenti, nelle scalette dei pezzi (circa 25 canzoni sempre diverse, attinte al suo immenso repertorio), nei duetti con gli altri componenti della E Street Band. Non a caso, ci sono fan sfegatati che seguono più concerti nello stesso tour. Con Springsteen è esploso il fenomeno dei cosiddetti bootlegs, cioè le registrazioni pirata delle esibizioni dal vivo, dettate proprio dall’esigenza di non perdere qualcosa che è sempre unico.

I gusti musicali di ognuno si sviluppano per le vie più diverse, ed è ovvio che Springsteen – come qualsiasi altro artista - possa piacere più ad alcuni che ad altri. Ma penso che chi ama la buona musica non possa fare a meno di riscoprire “il segno del Boss”. Magari aspettando il suo prossimo tour

 

Per una discografia essenziale: The Essential (la raccolta dei suoi successi, uscita di recente); Born to Run (l’album che gli diede la popolarità, e che per molti resta insuperato); Darkness on the Edge of Town; The River; Born in the U.S.A.; The Rising.

Per le esibizioni dal vivo: Live in concert 1975-85 (in VHS); Hammersmith Odeon, London '75 (in DVD), Video Anthology 78-88 (in DVD) e Live in Barcelona (dal suo "The Rising tour" del 2002 con la E Street Band, in DVD).

Una biografia completa e i testi tradotti delle canzoni si trovano su  www.loose-ends.it
Altri due siti italiani su Springsteen molto completi e aggiornati:
http://www.killerinthesun.com
http://www.badlands.it/

La mailing list/forum dei fan italiani di Springsteen: http://it.groups.yahoo.com/group/bruce_it/



Giudizio Utente: / 10

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