Gentile direttore,
i recenti fatti birmani impongono una riflessione sul ruolo delle istituzioni internazionali.
Mi permetto di segnalarLe che - in attesa che vengano risolti gli aspetti organizzativi, di rappresentanza, di comunanza di valori che di fatto paralizzano i processi decisionali e fattivi dell’O.N.U - esiste il problema di legittimità degli interventi da parte di uno o più membri aderenti.
Se da una parte riconosciamo e ci sforziamo di cercare soluzioni per un miglior funzionamento dell’organizzazione in questione, come dobbiamo comportarci nei confronti di chi - per umanità o per calcolo - agisce in assenza di una presa di posizione dell’O.N.U.? L’inazione o la non tempestività dell’azione dell’O.N.U. legittima l’azione diretta dei suoi membri?
E’ sotto l’occhio di tutti quello che sta avvenendo in Birmania: un governo sta impedendo gli aiuti umanitari alla sua popolazione colpita da una gigantesca calamità naturale. Calamità che ha già provocato decine di migliaia di morti ed altri ne sta provocando in relazione allo scoppio di epidemie ed alla mancanza di acqua potabile.
Come dobbiamo comportarci?
Qui non siamo di fronte a calcoli geopolitici, implicazioni economiche, religiose, culturali; siamo di fronte alla bestialità più evidente. Un comportamento che interroga seriamente le nostre coscienze sull’accettazione di classi dirigenti di tale livello. C’è un limite a tutto, non possiamo accettare quello che sta avvenendo (come non è possibile accettare quello che è avvenuto nella ex-Jugoslavia, o in Africa tra Hutu e Tutsi o nel Darfur). Ne vale la nostra, individuale, definizione di esseri umani.
Bene hanno fatto gli Stati Uniti (ed anche l’Italia dovrebbe svegliarsi), che di fronte alla negazione dell’autorizzazione (da parte del governo birmano) all’atterraggio degli aerei contenenti aiuti si stanno attrezzando a paracadutarli nelle regioni colpite dalla sciagura.
Fin qui l’emergenza e l’umana pietà. Adesso la giustizia.
Possiamo chiedere un giudizio di fronte al tribunale penale internazionale per i governanti di quella nazione?
Fatti tutti i possibili ragionamenti sulle differenze culturali, sulla presunzione di superiorità dell’Occidente, sul colonialismo, sulla libera autodeterminazione dei popoli, sul concetto di non ingerenza negli affari interni (?), è ragionevole ritrovarsi sull’idea che chi impedisce un aiuto (almeno in questi contesti) è un criminale? Sapendo che migliaia di morti potrebbero essere evitate se si permettesse la distribuzione di acqua potabile, e sapendo che il governo di quella nazione lo impedisce, possiamo chiedere una “Norimberga” internazionale?
A ben vedere, l’idea di impunità è la base di questi comportamenti; se i governanti avessero la certezza che saranno giudicati dalla comunità internazionale per i loro atti, si comporterebbero certamente in maniera diversa.
E se la Comunità internazionale non avesse la capacità di imporsi?
Credo sia legittimo e doveroso che qualcuno si debba far carico di operare per la giustizia.
Luigi Milanesi