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Lettere - Cattolici in politica
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04/05/08

Il lettore Milanesi si sofferma sul problema della rilevanza del ruolo dei cattolici nel quadro politico attuale, che a suo avviso vede protagonisti gli esponenti di culture politiche diverse, anche se magari personalmente professano la propria fede religiosa.

L’argomento è interessante, ma mi sembra che Milanesi dia per scontati alcuni passaggi, sia nell’analisi, sia nella proposta.

Ne cito alcuni:

1) la politica italiana (al di là della considerazione che i decenni di governo DC sono stati decenni di sviluppo) ha davvero bisogno oggi, nella fase storica che viviamo, di una politica di ispirazione cristiana? Perché? Su quali basi di valori e programmatiche?
Io penso di sì. Ma se i politici che si proclamano cattolici non hanno la capacità di argomentarlo, è forte il sospetto che la loro richiesta di voto voglia strumentalizzare la fede, o addirittura creare pericolose contrapposizioni.
Inoltre: questa politica di ispirazione cristiana si deve limitare a difendere alcuni presìdi di libertà religiosa e alcuni temi cari ai cattolici, ed è quindi riservata ai credenti (sono cattolico, voto cattolico)? Oppure è una politica che guarda a 360° ai problemi del paese, e può quindi attrarre i non credenti? Rovesciando la prospettiva: su che basi i cattolici debbono porsi il problema di aggregare in un progetto politico i non credenti?

2) Milanesi sostiene che la percezione di affinità dei cattolici con forze che non li rappresentano pienamente (come quelle attualmente egemoni) è solo frutto di una "percezione manipolata".
In parte, è vero che non c’è più una “cultura politica” cattolica delle leadership attuali. Ma non è semplicistico identificarle con gli eredi dei fascisti (o dei comunisti) o con i lobbisti?
Bisognerebbe anche tener conto che lo schieramento di centrodestra ha fatto propri alcuni temi (famiglia, difesa della vita) rispetto ai quali la DC si esponeva solo in chiave difensiva, senza la forza (e la voglia?) di portare avanti politiche di reale promozione.
Milanesi potrebbe rilevare che difendere alcuni temi può essere uno specchietto per le allodole, per tralasciarne altri. Ma, anche se così fosse, è tutta colpa della “manipolazione” dei media, o c'è un deficit di consapevolezza culturale e politica dei cattolici? E se esiste questo deficit, non è semplicistica una "reazione culturale" che si riduca a "chiarire che i cattolici non possono aderire a formazioni o movimenti che non abbiano specificatamente un’ispirazione cristiana"?

3) La "reazione politica" suggerita da Milanesi, se consiste nella partecipazione in un "medesimo contenitore", significa riproporre l'unità politica. Ma è sufficiente dedurre la necessità di questa soluzione dalla riscontrata scarsa affinità con le forze politiche esistenti?
L’unità politica aveva sicuramente i suoi vantaggi (oltre che alcuni svantaggi). Ma è praticabile in un sistema bipolare?
I cattolici uniti in un solo schieramento, infatti, in caso di alternanza, rischierebbero di andare tutti all'opposizione, lasciando il campo ad una maggioranza anticristiana (tipo Zapatero), non interessata a tenersi buono l'elettorato cattolico, ed anzi potenzialmente vendicativa... (mentre in Italia anche il centrosinistra va facendosi consapevole della necessità di ripensare un rapporto col mondo cattolico). Teniamo conto che è la Chiesa stessa ad aver abbandonato, in questo quadro, l’idea di unità dei cattolici.
Dobbiamo trarre le conseguenze di mettere in discussione il bipolarismo? O dobbiamo pensare, in un quadro bipolare, ad isolare in ognuno dei due schieramenti due forze centriste di dichiarata ispirazione cristiana? E se lo scenario evolvesse verso un quadro non semplicemente bipolare, ma più decisamente bipartitico?

Il tema è impegnativo, e difficile da sciogliere con una lettera. Ci vorrebbero leader capaci di proposte politiche forti e organiche.

Lorenzo


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