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Cultura - Storia
Garibaldi: massone e anticlericale Stampa E-mail
Qualche aspetto poco conosciuto di un personaggio “intoccabile”
      Scritto da Gabriele Vecchione
05/05/08

Il prete è l’assassino dell’anima… meriterebbe la morte. Gliela commineremo a galera in vita, o cosa simile, per impedirlo di assassinare” (Giuseppe Garibaldi, 1867)

garibaldi_giuseppe.jpgGaribaldi (1807 – 1882), il cosiddetto eroe dei due mondi, è il personaggio più citato nelle piazze e nelle vie italiane e, se è scorretto dire che egli da solo ha unito l’Italia, si può dire che all’unità ha contribuito pesantemente, sia militarmente (per i suoi militi era – si faceva chiamare così – il duce) sia idealmente. Per questo, è degno degli incensi di Victor Hugo (“uomo in tutta l’accezione sublime del termine”) e di quelli poetici carducciani: “Surse in Mentana l’onta dei secoli / il triste amplesso di Pietro e Cesare: / tu hai, Garibaldi, in Mentana / su Pietro e Cesare posto il piede… Oggi l’Italia adora. Invòcati / la nuova Roma novello Romolo: / tu ascendi, o divino: di morte lungi i silenzi dal tuo capo”.

Solo recentemente qualche settore della storiografia e della pubblicistica, soprattutto di stampo cattolico, sta cominciando a grattare sul mito, oltre le coltri della politica, della ideologia e della massoneria che ne hanno impedito una oggettiva interpretazione e, addirittura, ne hanno nascosto alcuni aspetti.

Ad esempio l’adesione alla stessa massoneria, duratura (dal 1844 sino alla morte) e sincera. L’eroe dei due mondi era Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, col 33° grado del rito scozzese ricevuto a Torino nel 1862 e con la suprema carica di Gran Hyrophante del rito di Memphis e Misraim del 1881. Fu iniziato alla massoneria anche a Palermo, e la sua iniziazione fu tenuta da Francesco Crispi, che sarà, ripetutamente, Primo Ministro del Regno. Garibaldi soleva dire: “io reputo i massoni eletta porzione del popolo italiano”. Partecipò anche all’ “anticoncilio” che la massoneria tenne a Napoli, in contrapposizione al Concilio Vaticano I convocato da Pio IX.

Altro aspetto nascosto, il commercio di schiavi. Il 10 gennaio 1852, da comandante della nave “Carmen” di proprietà dell’amico armatore genovese Pietro Denegri, salpa da Callao (Perù) verso Canton (Cina) per poi tornare a Lima. La nave trasporta guano, una qualità preziosa di letame. E’ un viaggio – come si può immaginare – memorabile. Garibaldi ne racconta tutti i particolari nel suo diario. Ma omette un non indifferente dettaglio: nel viaggio di ritorno, cosa riporta dalla Cina in Perù? Schiavi. Denegri (volendo fare un complimento a Garibaldi...) ha raccontato al biografo Vecchj: “m’ha sempre portati i chinesi nel numero imbarcati e tutti grassi e in buona salute; perché li trattava come uomini e non come bestie”.

Un altro “particolare” poco discusso del nizzardo? L’anticlericalismo e l’odio contro la fede cattolica tout court.

Garibaldi coniò lo slogan: “preti alla vanga”, da buon precursore delle tecniche maoiste che prevedevano, durante la cosiddetta rivoluzione culturale, che gli intellettuali non allineati andassero a lavorare forzatamente con la vanga.

31 ottobre 1861, lettera da Caprera alla Guardia Nazionale di Napoli: “il peggiore dei vostri nemici è il Papa, e voi sciaguratamente avete provato quest’anno quanto fossero vere quelle parole. Oggi devo manifestarvi un’altra verità, conseguenza della prima. I preti, complici del papato, sono vostri nemici, e voi dovete lavare di questa sozzura le bellissime vostre contrade. Non sangue; voi sareste riprovati. Ma ogni volta che s’incontra sul vostro passaggio la figura grottesca, ipocrita, dissimulata, d’un figlio del Sanfedismo e dell’Inquisizione, voi dovete scacciarla come cosa schifosa, appestata! Voi dovete far sparire dalla luce del sole che offuscano quei cappelloni multiformi, simboli per l’Italia delle miserie, delle vergogne di 18 secoli”.

Pochi giorni dopo, scrisse alla Società italiana degli operai: “Fuggite la Chiesa, la bottega che puzza d’infetti rettili e non la permettete ai vostri congiunti. Che il prete non comparisca più in pubblico col grottesco segno del triregno, simbolo di miseria e di vergogna per l’Italia”.

20 marzo 1862, da Torino al “carissimo popolo napoletano”: “Già ti additai i tuoi nemici e devo ricordarteli oggi. Non fidarti del prete di Roma, sia egli vestito da coccodrillo o da chercuto; già te lo dissi: egli è il capitale nemico tuo. Quando un uomo che non conosci ti avvicina per consigliarti, tu fiutalo prima, e se ti puzza di quell’olezzo caccialo; sarà facile riconoscerlo all’odore impuro”.

20 agosto 1866, Garibaldi parla ai suoi corpi volontari: definisce il Papa “il canchero nel cuore dell’Italia” e si duole che in quei corpi non ci siano contadini, evidentemente cattolici, e accusa i preti di mantenerli “nella cloaca di ignoranza e di miserie”. Poi dice: “il contadino non serve volontariamente l’Italia. Per lui, l’Italia una, libera, rigenerata, è nemica del prete, dunque di Dio, e i governi che si succedono mantengono questa maledizione del Genere Umano. Quando le madri baciano la mano al prete, e s’inginocchiano davanti a lui, non sanno che sono ai piedi d’un assassino dei loro figli, d’un assassino del loro paese”.

22 febbraio 1867: “i clericali sono sudditi e militi di una potenza straniera, autorità mista e universale, spirituale e politica, che comanda e non si lascia discutere, semina discordi e corrompe. A questi nemici della patria nostra e della civiltà voglionsi togliere i mezzi di nuocere”.

Lo stesso anno, in un proclama agli elettori: “il prete è l’assassino dell’anima poiché in tutti i tempi egli ha fomentato l’ignoranza, e perseguito la scienza… Assassino dell’anima egli è peggiore dell’assassino del corpo e più di quello meriterebbe la morte. Gliela commineremo a galera in vita, o cosa simile, per impedirlo di assassinare. Noi lo accoglieremo però se, lasciando il suo carattere di buffone, egli vuol ridiventare uomo”.

29 luglio 1868 ai bolognesi: “che diavolo di libertà vuole un popolo che tutti i giorni va a prostrarsi à piedi d’un prete, piedistallo di tutte le tirannidi e soldato del più atroce de’ tiranni d’Italia? Io crederò che il nostro popolo vuol essere libero quando lo vedrò cambiare la bottega di San Petronio in un asilo di indigenti; quando, sulla chierica del negromante buffone, lo vedrò infrangere il fiasco di San Gennaro”.

7 settembre 1868, lettera agli abitanti di Ancona: “come seguaci di Beccaria e di Victor Hugo, noi abbiamo sempre creduto che l’uomo non sia padrone della vita dell’uomo! Così non la pensa però quel vecchio putrido, sacerdote della menzogna e del delitto, che siede in Roma”.

8 dicembre 1869, messaggio all’anticoncilio della massoneria: “fra due mesi sarete visitati da tutto ciò che il mondo ha di più rispettabile. L’eletta parte delle nazioni, i rappresentanti dell’intelligenza e del diritto umano. E voi vi lascerete trovare ancora con l’umiliante composizione chimica che gl’impostori vi spacciano come sangue di San Gennaro con cui si beffano di voi da tanti anni? Non sarà bene di frangere per sempre quell’ampolla contenente il veleno? E i confessionali fatti a pezzi, e resi utili a far bollire i maccheroni della povera gente… che ve ne pare?”.

Garibaldi, nello stesso messaggio, passa a considerare le verità di fede di cui si discute a Roma: ci scusiamo, istantaneamente, con i lettori per le bestemmie di seguito contenute: “qui, nella contaminata vecchia capitale del mondo, si discuterà sulla verginità di Maria, che partorì un bel maschio sono ora 18 secoli… sulla eucaristia, cioè sul modo di far inghiottire il reggitore dei mondi, e depositarlo poi un closet qualunque. Sacrilegio, che prova l’imbecillità degli uomini che non regalano d’un pugno di fango il nero, che sì sfacciatamente si beffa di loro. Finalmente sull’infallibilità di quel metro cubo di letame che si chiama Pio IX”.

12 marzo 1871 (Roma è già capitale del Regno): “il prete, senza cui non vi sarebbe tirannide, è come la gramigna; se non si sradica fino all’ultimo pelo, essa si propaga subito ed invade, infetta la pianta umana che commise il delitto di non spegnerla…”

14 novembre 1876 al direttore de La Capitale: “e credete voi che se un bel giorno si vedessero i grassi servi di Dio, con una vanga in spalla marciare alla coltivazione dei campi, o al lavoro del Tevere e dell’Agro Romano, che per colpa loro è diventato un cimitero, credete voi, dico, che il sole cesserebbe di illuminare il globo?”

In articulo mortis, Garibaldi rifiutò, logicamente, il viatico sacramentale, senza risparmiarsi di proferire parole d’odio: “oggi non voglio accettare in nessun tempo il ministero odioso, disprezzevole e scellerato di un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell’Italia in particolare”.

Di qui possiamo comprendere che il Risorgimento fu guidato da forze anticattoliche, almeno sin dal 1848; possiamo comprendere la netta e risoluta contrarietà di Pio IX all’unità d’Italia, nelle forme e con gli artefici con cui andava realizzandosi (mentre era stato inizialmente possibilista su un processo unificante di tipo federale); possiamo comprendere come, colpendone il potere temporale, si volesse in realtà cancellare il potere spirituale della Chiesa tra gli Italiani; come i preti venissero minacciati di morte e di essere detenuti nelle patrie galere (e nella Savoia non mancarono confische di conventi e monasteri, espropri, maltrattamenti e arresti arbitrari).


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