L’inchiesta presentata dalla trasmissione Report il 27/10/2007 su RaiTre aveva messo in luce lo scandalo dell’allegra gestione delle finanze pubbliche da parte degli enti pubblici.
Che i nostri soldi siano spesi male, lo sapevamo: sprechi, carrozzoni tenuti in piedi per ragioni clientelari, ecc. Ma quello che non sapevamo è che alcuni enti pubblici questi soldi li usano per.. scommettere!
Parliamo dell’acquisto di particolari strumenti finanziarî, i cosiddetti “derivati” (ed in particolare quelli che non si limitano a coprire il rischio di variazione dei tassi, ma utilizzano la "leva finanziaria"). L’investitore che acquista tali prodotti “scommette” con la banca sull’andamento dei tassi d’interesse (o di altri prodotti sottostanti): se la scommessa va a buon fine, il ritorno dell’investimento può essere di molto maggiore alla cifra investita, ed è questo che alletta molti investitori privati; ma anche – a quanto pare – molti enti pubblici, che si illudono di risanare in questo modo bilanci in sofferenza (o di permettersi ulteriori sprechi…).
Dicevamo che si illudono… perché, ovviamente, c’è il rovescio della medaglia: la scommessa può andar male all’investitore (e bene alla banca).
Che cosa succede? Che si perde parte del capitale investito? Già questo – visto che non si tratta di giocare con i soldi proprî, ma con quelli dei cittadini – sarebbe inaccettabile; ma la realtà è ben più grave.
Allora si può perdere tutto il capitale investito (si chiederà il lettore allarmato)? Peggio: si può perdere una cifra fino a 50 volte superiore a quella investita!!! Soldi che poi dobbiamo ripianare noi con le tasse…
Aggiungiamo un dato: la possibilità che le cose vadano male non è remota, ma è superiore a quella di vincere la scommessa. Infatti, i “derivati” sono confezionati dalle banche con clausole molto complicate, all'interno di prodotti definiti "strutturati", che fanno riferimento a parametri economici multipli e si servono di equazioni matematiche particolari per descrivere le condizioni del contratto. Il risultato è che sono predisposti in modo che le banche ci guadagnino quasi sempre…
Insomma: solo un investitore professionale è in grado di comprendere e valutare adeguatamente il rischio (e spesso neanche quello).
Certamente non i comuni cittadini o i piccoli imprenditorî, che la legge dovrebbe tutelare maggiormente – anche se investono soldi proprî – per evitare che le banche carpiscano la loro buona fede.
I rischi non sono in grado di valutarli nemmeno i funzionarî dei nostri enti pubblici, che fanno gli apprendisti stregoni della finanza (con i soldi degli altri). Basta considerare un fatto: i derivati collocati in Italia vengono in larga parte “confezionati” dalle banche della city di Londra, la patria della finanza; ebbene, non è un caso che in Inghilterra la legge vieta di collocare questi strumenti finanziarî presso gli enti pubblici!
Da noi manca una norma del genere, per cui molti enti si sono imbarcati in questa gestione incosciente: enti locali, policlinici, aziende municipalizzate, case di riposo, ecc. Tra gli enti locali: i Comuni di Torino, Genova, Napoli, Taranto, Reggio Emilia; le Regioni Emilia Romagna, Piemonte, Liguria, Campania, Lombardia. Nell’insieme, sembra si possa parlare già di parecchie centinaia di milioni di euro di debiti accumulati.
A dire il vero, a motivare l’acquisto di tali prodotti non è solo l’illusione di fare un buon affare. Alcuni derivati, infatti, non richiedono un investimento, ma forniscono un prestito all’investitore: se le cose non vanno bene, il prestito dovrà essere restituito per un importo molto maggiorato dopo un certo numero di anni. Molte amministrazioni hanno pensato: i soldi me li prendo subito; ai debiti, anche se moltiplicati, dovranno pensarci le giunte che vengono dopo di me!
E la politica nazionale (Governo, Parlamento) che fa? È connivente. Forse perché i veri “poteri forti” sono le banche. Un’indagine parlamentare del 2004 è finita in un nulla di fatto. Dopo che Report aveva rilanciato lo scandalo, si era sperato che la nuova legge Finanziaria introducesse una norma simile a quella inglese, impedendo agli enti pubblici di utilizzare quel tipo di prodotto finanziario. E invece la Finanziaria per il 2008 si è limitata ad introdurre alcune norme (art.1., commi da 381 a 384) che garantiscano la trasparenza dei contratti.
Ebbene: a noi cittadini non interessa sapere se i nostri amministratori siano più o meno consapevoli del rischio. Con i soldi pubblici non si gioca, e tanto basta.