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Casa dolce casa - cap. III Stampa E-mail
La partenza
      Scritto da Daniele Comberiati
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La partenza

Mario capì realmente quale sarebbe dovuto essere il suo ruolo un pomeriggio gelido, in cui il cielo minacciava una nevicata che, come capitava dal 1985, avrebbe sempre rimandato. L’anziano signore con i capelli bianchi (quello che, da quanto Mario ricordava, li aveva sempre avuti così) lo salutò con un inspiegabile calore e diede l’impressione di volersi fermare a chiacchierare un po’. Lo raggiunse presto una sua coetanea del quinto piano, nota per le secchiate d’acqua che aveva rovesciato, anni prima, a due ragazzini che non riuscivano a moderare il tono di voce mentre giocavano a pallone. Entrambi lo guardarono con apprensione. Gli parlarono prima che lui potesse rintanarsi dentro casa.

- E così lei conosce i Gombri –

Mario rabbrividì al pensiero di cosa potessero chiedergli. Forse aveva già capito: - Non è che siamo proprio amici. Li conosco così, come vicini. Hanno preso il tè da me, ho preso una volta il tè da loro –

- Certo, certo, come vicini – ribatté la vecchietta con sicurezza – e chi li conosce meglio? Sono sempre così riservati, così schivi direi. Eppure… lei è l’unico che almeno ci ha instaurato un rapporto minino, meno formale del saluto sulla porta o del buongiorno la mattina. Ecco signor Mario, pensavo… pensavamo… forse è proprio lei la persona giusta per parlargli –

- Parlargli? – domandò stupito Mario che in realtà aveva già capito – e per dirgli cosa? –

- Bè, per dirgli cosa, per dirgli cosa, ma è chiaro, no? Per dirgli che devono andar via. I sei mesi stanno per scadere ormai e il condominio è stato piuttosto chiaro nella riunione dell’altra sera, non sopportiamo altri inquilini. Meglio un appartamento vuoto piuttosto, e pazienza per quella piccola spesa in più al mese! Ah, si prenda il suo tempo naturalmente. Quando vuole, quando vuole, ma entro i due mesi, che sennò il contratto scade e… rischiamo di ritrovarceli ancora qua l’anno prossimo! –

Mario rimase di sasso: in fondo, con il suo silenzio e la sua timidezza, aveva accettato un compito odioso: dire ai Gombri, ai delicati e simpatici Gombri che se ne sarebbero dovuti andare perché così voleva, a quanto sembrava, il consiglio supremo del condominio.

Mario passò un Natale piuttosto agitato: le cene con i parenti non gli erano mai sembrate così pesanti, non riusciva neanche a finire i fritti misti che già la pancia gli doleva. Parlò poco a tavola, mostrando segni di una crescente insoddisfazione. Pensò che il giorno giusto per fare “quel” discorso ai Gombri fosse il 27, dopo le abbuffate natalizie. Poi, nella solitudine romana e casalinga del giorno dopo Santo Stefano, pensò che in fondo sarebbe stato meglio aspettare con i vicini, che diritto aveva di fargli andare di traverso la pasta con il sugo di pollo?

Con questi ragionamenti passarono i giorni 28, 29, 30 e 31 dicembre. Mario si pose così nuovi interrogativi: perché rovinargli il nuovo anno? Avrebbe atteso tranquillamente la Befana. Poi, durante il fatidico sei gennaio, giorno notoriamente triste per la fine delle vacanze (anche se quell’anno cadeva eccezionalmente di venerdì), Mario decise di aspettare l’inizio della settimana lavorativa.

Il lunedì nove andò a lavorare angosciato: questa volta non poteva più aspettare. La città sembrava partecipare attivamente alla difficoltà della sua giornata: dopo vent’anni aveva ripreso a nevicare.

Mario tornò dalla pasticceria con l’aria indurita e incattivita per l’occasione. – Devo assolutamente presentarmi così – pensò – altrimenti non riuscirò proprio a dirglielo –

Suonò alla porta dei Gombri e, quando Vittorio e Rossella aprirono la porta e lo invitarono ad entrare, rifiutò cortesemente. – Sono stato all’ultima riunione di condominio, prima di Natale – disse senza fermarsi – l’amministratore ha deciso, mi dispiace. Non vi rinnoverà l’affitto –

E con un balzo rientrò in casa dalla porta che aveva appositamente tenuto accostata. Non ne ebbe mai la sicurezza, ma per tutta la durata del breve dialogo aveva avuto la spiacevole impressione di essere spiato.

La notte dormì poco, si rigirò più volte nel letto e sognò continuamente gli occhi dei due piccoli Gombri, Mimmo e Rita, che lo guardavano mentre parlava ai genitori: ma li aveva poi visti davvero?

All’inizio di febbraio non aveva ancora smesso di nevicare e Roma, splendida, sembrava nascondere il suo passato sotto quel manto bianco; l’amministratore con un’accanita delegazione di condomini andò a svegliare i Gombri la mattina all’alba: - Andiamo! Andiamo! È il giorno! Su, su, sbrigatevi! –

I Gombri, pallidi e infreddoliti, obiettarono qualcosa senza troppa convinzione: - Ma… nevica! E fa freddo fuori… -

- Su, su! Niente storie! I patti sono patti! Vi abbiamo lasciato qui fino al due, no? Ora dovete rispettarli voi! –

I Gombri non avevano molte cose: ciascuno di loro uscì con un grosso zaino in spalla, proporzionato al sesso e all’età. Molti condomini, fra cui Mario, si riunirono nel pianerottolo per vedere i nuovi arrivati che finalmente se ne andavano. Mario rimase un po’ in ombra, imbarazzato e ancora attanagliato dai sensi di colpa.

La sorpresa di tutti fu grande quando videro i quattro sciogliersi sotto la neve come se fossero fatti di zucchero…

Vlado era entrato nella pasticceria subito dopo scuola.

- Ciao Mario! Mi dai la tortina! –

Mario l’aveva accontentato e poi si era diretto immediatamente in cucina, con l’aria molto indaffarata. Una domanda del piccolo Valdo lo aveva fermato quasi sulla porta: - Mario? Senti una cosa… è vero quello che si dice sui Gombri? –

Mario, che si aspettava la domanda, finse sorpresa: - Perché, che si dice? –

- Che erano fatti di zucchero, e si sono sciolti sotto la neve. Per questo Rita era così bianca! –

Mario strinse le spalle come se non ne sapesse nulla, poi, vedendo che Vlado aveva finito il suo dolce, cercò di imbonirselo e mandarlo via: - Scusami, devo lavorare… vuoi un’altra tortina? Offre la casa… -

Vlado rispose svelto: - Sì ma… senza zucchero – poi prese la tortina e altrettanto svelto uscì dalla pasticceria….

(3. fine)



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