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Lettere - Legalità, immigrazione
Italia, il Bel Paese: una "normale" invivibilità Stampa E-mail
25/10/07
Italia, il Bel Paese? Possiamo oggi effigiarci di questo termine?

Chi vive, o è più esatto dire sopravvive, in questo sempre più scadente territorio può a ragione affermare che del Bel Paese c’è rimasto poco o nulla. Gli argomenti, o per meglio dire i problemi, suffraganti tale affermazione sono talmente copiosi da far togliere la voglia di parlarne. Viene in mente la frase di Leonardo Sciascia “l’unico rimedio ai mali della Sicilia è l’aereo”, oggi da riferire non alla sola Sicilia ma all’Italia tutta.

Chi ha permesso tutto questo? Come mai siamo sprofondati in questo penoso standard di vita? Proviamo ad accennare a qualcuno dei nostri mali, controvoglia perché oramai essi sono stranoti e costantemente presenti a molti; a molti e non a tutti, purtroppo. Tanti sono coloro che, ignari e giulivi, obbedienti agli ordini di chi li vuole sempre più trasgressivi, distratti dal calcio o dall’ultima attricetta sexy, dalle offerte dei centri commerciali o dalle discoteche, stanno sprofondando nella melma in cui chi detiene il potere li fa vivere. Distratti finché non subiscono uno stupro o una rapina in casa, finché un guidatore ubriaco non li storpia con l’auto, finché un nuovo ennesimo pub non viene aperto sotto la loro camera da letto…

L’Italia è ormai un Paese invivibile, con una democrazia solo formale e non sostanziale. Normativa e giurisprudenza impongono il
favor debitoris e il favor rei, delinquere è come dire “oggi preferisco fare una passeggiata piuttosto che restare in casa”. Sia nelle città che nei paesi, la prostituzione avviene in mezzo alla gente “normale” che cammina, che passeggia, che gioca. L’attuale vita “normale” non è più quella di qualche anno fa. E’ normalità vivere tra prostituzione, spaccio di droghe, vendita illegale (o è più esatto dire legale) di merce varia da parte di immigrati, risse, schiamazzi in qualunque ora del giorno e della notte, urla dei balordi discotecari ubriachi all’uscita dei locali notturni. Il poter dormire di notte è divenuto una speranza, un sogno; il riposo notturno un bene prezioso appannaggio dei ricchi che possono permettersi una casa nelle zone tranquille e vigilate (magari a pagamento), e non più un diritto “normale”. Tutto ciò avviene nella fogna a cielo aperto, dove cultura e tradizione, identità etnica e religiosa stanno cedendo il passo a questa nuova “normalità”.

Il nuovo lusso non è più riferito a chi dispone di gioielli e abiti firmati o di costosi congegni elettronici, privi di ogni significato culturale, artistico, simbolico, o di auto di grossa cilindrata. Il nuovo lusso è quello di chi può permettersi di vivere nel silenzio, di chi può disporre liberamente di almeno due terzi della propria vita, scegliendosi il lavoro e il luogo dove abitare, tutte prerogative queste delle famiglie dei veri privilegiati di oggi.

Proviamo a pensare ora al senso della parola libertà. È quanto di più lontano da noi. È libera la donna che non può più uscire da sola, soprattutto di sera? E’ libertà cercare di dormire la notte con porte e portone chiusi a doppia mandata, ascoltando contro la propria volontà la musica dei pub e le urla dei balordi? Sopportando non più solo la feccia nostrana, ma anche quella parte degli immigrati che vengono qui a delinquere, sapendo di rimanere impuniti? Condizionati psicologicamente in ogni momento del giorno e della notte?

L’eguaglianza cultura uguale libertà è ormai sconosciuta ai più. È un paese il nostro dove l’inquinamento ambientale e acustico vige in mezzo alle persone “normali”, o è più esatto dire anormali, veri superstiti precari nel mezzo di un inestimabile patrimonio artistico-culturale, evidentemente ormai ritenuto dai più un ammasso di scarso interesse. L'insegnamento al rispetto e al coraggio, alla valorizzazione di se stessi, della propria famiglia e della propria Patria, che caratterizzò la vecchia Europa, è dimenticato. La nuova educazione consiglia di ubriacarsi, tatuarsi, bullonarsi, drogarsi, trascorrere notti bianche organizzate dai politici locali, magari in mezzo alla strada con qualche
viados, tutte forme di innaturale autolesionismo e di non rispetto per i propri pari: ben funzionali al non essere competitivi, per non preoccupare i potenti. Il massimo di "normalità" che si pretende dai giovani è l'ubriacarsi e drogarsi quattro su cinque, uno deve rimanere sobrio per poter guidare all'uscita dal locale notturno senza ammazzare o ammazzarsi...

Ordine pubblico, sicurezza, tutela dei diritti, rispetto delle leggi e delle regole, certezza della pena, qualità della vita? Dovrebbero essere condizioni “normali” di ogni cittadino che vive in uno stato di diritto, e invece sono sogni agognati da troppa gente.

Chi ha permesso tutto questo? E per quale folle ragione lo stato è assente, inefficace? A cosa serve questo stato, solo a estorcerci tasse e contributi? Chi controlla questo stato che non ci tutela?

Il popolo chiede legalità e vivibilità, ma lo stato proprio non le dà!

Non resta che concludere con questa poca rima, come quei comici “giullari” che, mettendo in piazza attraverso la satira i drammi degli Italiani, sembrano essere gli unici in grado di costringere qualche amministrazione pubblica a risolverne
in extremis qualcuno.

Prof.ssa Leonarda Venuti



Risponde il Direttore

Chi non ha un pub o un “centro sociale” sotto casa, chi non vive lungo una strada ritrovo di prostituzione e spaccio, potrebbe considerare eccessivo il tono della lettera che abbiamo ricevuto. Ma il problema non è stabilire se in tutto il nostro Paese – o in che percentuale di esso - la situazione sia questa. “Solidarietà” significa anche preoccuparsi che beni importanti come la vivibilità del proprio quartiere non siano frutto del caso o delle possibilità economiche.
Un distinguo importante potremmo farlo sulla citazione di Sciascia. Forse la tentazione di fuggire è comprensibile in chi vive sotto la cappa della mafia, le cui minacce sono molto ‘convincenti’ (eppure molti Siciliani hanno deciso di continuare lì la loro battaglia). Ma in altri casi, se c’è la possibilità, non dobbiamo rinunciare all’impegno civile per pretendere il rispetto dei diritti.


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