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Legalità e vivibilità delle città: il “worry and buy” Stampa E-mail
Quando le comunità di immigrati “sfrattano” i residenti dai loro quartieri
22/10/07
Tutti ci siamo accorti di un fenomeno nuovo per le nostre città, che sta sempre più prendendo piede ovunque: gli Italiani scompaiono da interi edifici, vie, quartieri, e vengono sostituiti da immigrati. Troppo spesso questo fenomeno è determinato dalla tecnica di spossessamento-impossessamento immobiliare "worry and buy", ben conosciuta negli USA, dove i nostri stessi emigranti ne furono tra i protagonisti.

In Italia le prime avvisaglie del fenomeno si sono riscontrate in una diversa prassi, con finalità più limitata in quanto meramente estorsiva, attuata da alcune comunità di immigrati, in particolare da quelle più malviste nel nostro Paese: costoro, dopo un'attenta ricerca, sceglievano come bersaglio un grande edificio di nuova costruzione, appena ultimato, con molti appartamenti ancora da vendere. All'imprenditore venditore si presentava una coppia di immigrati, con lavoro fisso e permesso in regola, apparentemente "brava gente", che acquistava uno degli appartamenti nuovi in vendita pagando pronta cassa. Subito dopo il rogito notarile l'appartamento così acquistato veniva occupato da una ventina di immigrati, i quali cominciavano a seminare sporcizia e immondizie, fare rumore di giorno e di notte (soprattutto di notte), sguinzagliare in giro per l'edificio bambini e ragazzi sporchi e urlanti. Negli altri appartamenti e negli edifici vicini cominciavano a verificarsi furti. Qualche anziano veniva facilmente scippato. Ovviamente nessun Italiano si presentava più all'imprenditore edile per acquistare i molti appartamenti ancora da vendere. L'imprenditore, disperato,offriva agli immigrati di ricomprare quell'appartamento al doppio del prezzo pagato, e l'estorsione era compiuta.

E' questa prassi inizialmente estorsiva che oggi evolve nel ben più preoccupante “
worry and buy”. Non sono più un imprenditore e un singolo edificio ad essere presi di mira, ma un'intera via o quartiere. Il fine non è più estorsivo, ma acquisitivo. Tale prassi di impossessamento viene messa in atto dalle più varie etnie extracomunitarie; tuttavia è giusto ricordare che, come sopra accennato, gli stessi emigranti italiani l'hanno adottata nella prima metà del secolo scorso negli USA, in particolare nel quartiere newyorkese di Brooklyn.

Oggi, però, noi Italiani non ne siamo più gli autori, bensì le vittime, nelle nostre città, nelle nostre case. Quando viene messa in vendita una palazzina, una villa, preferibilmente un intero edificio in una data via, si presentano degli immigrati acquirenti che pagano pronta cassa tutto quello che il venditore richiede, anche se è un prezzo esorbitante. Con questa modalità ci si appropria di due, tre, quattro edifici siti in quella via. Completate queste acquisizioni iniziali, il gioco è fatto. Bastano questi "avamposti" a rendere il quartiere invivibile: prostituzione, spaccio, sporcizia, furti, rumori, impossibilità di uscire la sera e dormire di notte. Il massimo del degrado gli immigrati lo ottengono quando riescono ad aprire nel quartiere un locale notturno.

Possono in ciò approfittare dell'usuale lassismo e disinteresse delle autorità locali nella concessione di licenze per locali di questo tipo, pub, night e discoteche, costituenti una delle principali cause di degrado e di invivibilità dei quartieri, anche quando sono gestiti da Italiani.
Tale locale diviene il centro di tutti i traffici illeciti, per tutta la notte inonda il quartiere di musica ad alto volume, e delle urla di risse e accoltellamenti. Sottolineo che i quartieri presi di mira non sono di solito le borgate a basso prezzo, ma i quartieri centrali, abitati per lo più da Italiani benestanti. I residenti italiani, preoccupati, spaventati, disperati, tempestano di chiamate le forze dell'ordine: arrivano i Carabinieri, scompaiono prostitute, viados e spacciatori e il locale zittisce la musica. Cinque minuti dopo che i Carabinieri se ne sono andati, musica, spaccio e prostituzione ricominciano proditoriamente. I residenti allora sottoscrivono esposti al Sindaco, al Prefetto, viene disposta una retata, ma dopo solo qualche giorno tutto è come prima.

Agli Italiani non rimane che mettere in vendita le abitazioni; nessun altro Italiano è però disposto ad acquistarle. Dopo qualche mese si fa avanti un immigrato, della stessa etnia dei disturbatori, e offre un prezzo da saldo. Pur di andarsene e di cercare altrove una vita"normale", le famiglie italiane cedono. Nel giro di uno o due anni l'intera via o l'intero quartiere è in mano a quella etnia di immigrati. In questo consiste il "
worry and buy", il "preoccupa e acquista", ovviamente a prezzi stracciati.

Vi è anche un'ulteriore beffa. Capita sempre più spesso che cittadini italiani svendono per trasferirsi in un altro quartiere, e questo secondo quartiere diventa poi anch'esso, a sua volta, bersaglio del “
worry and buy”. Tale sorte, ad esempio, è toccata ai Romani fuggiti negli anni '80 dalla zona "maghrebinizzata" a ovest della Stazione Termini, per stabilirsi nella zona attorno a Viale Giulio Cesare, che è oggi sta cadendo in mano ai centroafricani. Da sottolineare che al gioco di squadra attuato dagli immigrati, gli Italiani sembrano, nella loro disunione e nella loro incapacità di organizzarsi, non essere in grado di opporre un altrettanto valido loro gioco di squadra.

Vengono così a cadere le condizioni minime per la sussistenza di uno Stato, di un potere pubblico. Secondo la concezione liberale dello Stato, il minimum che lo Stato stesso deve storicamente garantire ai cittadini è costituito da: ordine pubblico, giustizia, difesa dei confini da invasioni straniere. Uno Stato che non garantisce ai cittadini questo
minimum di vivibilità non ha più senso, non ha più legittimazione a esercitare il potere pubblico, e i cittadini devono pensare a reagire e a organizzarsi diversamente. Prima lo faranno, meglio sarà per loro.
 
Avv. Filippo Matteucci


Risponde il Direttore

Il lettore ci sottopone un argomento molto interessante, di cui ci si accorge spesso dopo che è esploso. Ai motivi di preoccupazione evidenziati nella lettera (l’ingiusta espropriazione di cui sono oggetto molti cittadini italiani) ne aggiungiamo un altro: le vessazioni di cui, anche all’interno delle comunità di immigrati, possono divenire oggetto i soggetti deboli (bambini e donne).

Infatti, quando si crea una cittadella compatta e separata, è più facile che si insedi un “contro-Stato” con leggi e costumi propri, che magari contemplano lo sfruttamento del lavoro minorile, l’elusione per i bambini dell’obbligo scolastico (o l’imposizione di scuole separate), l’imposizione alle donne di stili di vita degradanti, ecc. Questo contro-Stato è spesso condizionato da organizzazioni malavitose, che si propongono alle comunità di immigrati come “garanti” rispetto ad una percepita ostilità della società che li ospita; fu anche il ruolo di Cosa Nostra nelle “Little Italy” che andavano formandosi negli Stati Uniti agli inizi del secolo scorso. In queste cittadelle tipo  “Chinatown” diventa difficile per le autorità statali e le forze di pubblica sicurezza far rispettare qualsiasi legge.

Ciò detto, ci sembra importante fare una distinzione che nella lettera non emerge con chiarezza, anche se pensiamo sottintesa: la distinzione tra organizzazioni malavitose di immigrati, da una parte, e immigrati onesti e disposti all’integrazione, dall’altra.

La soluzione del problema segnalato, infatti, non può – non deve – essere quella di “non vendere case agli stranieri”: i ghetti si creerebbero ugualmente, nell’estrema periferia anziché in centro. Il problema si risolve esigendo il rispetto puntuale della legge: sia combattendo con decisione il “worry”, la molestia attuata mediante i descritti comportamenti illegali; sia combattendo le vessazioni di cui possono essere oggetto i soggetti deboli all’interno delle stesse comunità immigrate, vessazioni che qualche relativista buontempone vorrebbe tollerare in nome del “rispetto delle diversità culturali”.

Questo rispetto della legge e dei valori della convivenza civile consentirebbe di perseguire un obiettivo che ci sembra resti importante: l’accoglienza, la solidarietà e l’integrazione verso gli immigrati che vogliono costruire per sé e per i propri figli un futuro fondato sul lavoro onesto, e che possono arricchire la società che li ospita. (come hanno saputo fare gli italoamericani).

A questi fini, è importante il ruolo dei cittadini che sappiano trovare forme di mobilitazione e autoorganizzazione: per scambiarsi informazioni e sostegno reciproco, ma soprattutto per richiamare ai propri doveri le istituzioni lassiste e inefficienti (senza la pretesa di farne a meno). Perché l’obiettivo non dev’essere una “autogestione” dei conflitti sociali, ma il loro superamento.


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