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Religione e societą - Notizie e Commenti
Cosa dicono di Benedetto XVI Stampa E-mail
Credenti e non credenti si pronunciano sul nuovo Papa.
      Scritto da Giuliano Ferrara; Alberto Melloni
20/04/05
benedettoXVI_elezione2.jpg

Come ha reagito l'opinione pubblica all'elezione di Benedetto XVI?

Si tratta di un Papa che alcuni già conoscevano per la sua attività come cardinale, di cui molti altri avevano almeno sentito parlare.

Riprendiamo un commento positivo ed uno dubbioso, sapendo che in ogni caso un giudizio vero potrà venire solo col tempo (aggiungiamo che i cattolici, se si tratta del Papa, dovrebbero probabilmente ascoltare il Pastore chiamato a guidarli, piuttosto che attenderlo al varco per giudicarlo. Ma questo è un altro discorso.)

Chi ne parla bene

Vi proponiamo il commento di Giuliano Ferrara, apparso su Il Foglio del 20 aprile, che ci sembra interessante anche perché proviene da un non credente.

Croce e Ragione

Un Papa che ci piace perché è moderno ma non si è mai arreso alla banale modernità

Lunedì abbiamo avuto in regalo dal suo coraggio la “formidabile lezione del prof. Joseph Ratzinger”, ieri poco prima delle sette di sera è apparso dalla loggia grande della Basilica di San Pietro il nuovo Papa, Benedetto XVI. Ogni Papa è diverso dal cardinale che fu eletto, ma Ratzinger e Benedetto decimosesto sono la stessa persona. La formidabile elezione del prof. Ratzinger a capo della Chiesa cattolica, servo dei servi di Dio e pastore universale di oltre un miliardo di fedeli, incanta e consola e incoraggia quella parte del mondo laico che in questi anni ha trovato in Giovanni Paolo II e nel suo sfolgorante braccio intellettuale le splendide ruvidezze di un pensiero cristiano forte, sottile e argomentato, sempre disponibile a ingaggiare battaglia con il mondo moderno, quel mondo che per i veri laici ha bisogno di essere contraddetto, confutato, preso sul serio nelle conseguenze del suo immenso potere, primo tra tutti il potere della tecnica, della scienza e di altri idoli ideologici.

Benedetto XVI, dalle premesse rocciose di un quarto di secolo dedicato al papato giovanpaolino, potrà permettersi di dialogare con la modernità perché è per formazione, per la sua partecipazione attiva al Concilio Ecumenico Vaticano II, per la sua evidente e naturale capacità intellettuale di interpretare i “segni dei tempi” senza ad essi sottomettersi, lo stampo stesso di un moderno principe della Chiesa cattolica. Ratzinger è un colossale pensatore, un uomo che padroneggia le lingue nascoste della filosofia, che ha una germanica consuetudine con le ossessioni del nichilismo contemporaneo, ed è stato, come Prefetto della Congregazione della dottrina della fede (ex Sant’Uffizio), un inflessibile combattente contro la penetrazione di ideologie totalitarie e classiste nel corpo della Chiesa. Il suo mestiere è annunciare il Cristo morto e risorto, il suo affare è governare la Chiesa di Roma in tempi di burrasca per tutti e di speranza per i credenti e per gli uomini di buona volontà. Sarà pastore, sul modello pontificio da lui stesso evocato nell’omelia della messa pro eligendo romano pontifice la cui eco ancora risuona nella Basilica che ora è la sua casa. Non sarà convenzionalmente conservatore, come non sono convenzionalmente progressisti coloro che hanno temuto e scongiurato, con argomenti deboli, tiepidi, la sua elezione. Sarà quel che è stato, con la sovrabbondanza di vita intellettuale e morale, e di fede per chi crede, che è tipica di quella straordinaria funzione pontificale, sopravvissuta a duemila anni di storia con il ritmo lento delle litanie dei Santi, con il canto gregoriano, ma anche con le grandi arti modernissime della comunicazione planetaria.

Un Papa filosofo

Se possiamo dirlo senza scandalo, e possiamo, il carisma di questo nuovo Papa è la ragione. La definitiva riabilitazione della ragione oggettivista, realista, quella che può integrarsi con la fede pur restandone separata, quella che dialoga nella consapevolezza dell’identità. Ha una nozione non polverosa e settaria, ma aperta e universalistica, del concetto di occidente, del problema della pace e dei diritti dell’uomo. Ha quel senso della verità come modello e limite del pensiero forte, che ci spinse a pubblicare il suo documento cruciale del Giubileo del 2000, la Dominus Jesus che fece impazzire i farisei. Ha detto e ripetuto che il potere dell’uomo è cresciuto molto di più della sua consapevolezza etica. E se l’atleta di Dio Wojtyla disse nel calore dell’elezione “se sbaglio mi corrigerete”, questo simpatico e lucido e algido Benedetto XVI, il prof. Ratzinger, ieri nel presentarsi alla folla in San Pietro sembrava dire: “Se sbagliate vi correggerò”. Non male. Auguri di lunga vita, di operosità e di fecondità intellettuale a un Papa che ci piace.

 

Chi esprime dubbi

Non sono mancati, com'è ovvio, i giudizi perplessi o quelli - più rari - decisamente negativi. Questi ultimi sono facilmente riassumibili per la banalità e superficialità che spesso li accomuna: ad ogni Conclave certuni si attendono un Papa che "finalmente" rompa con il passato, rendendo più "moderna" la morale sessuale (sembra che il sesso sia un'ossessione non della Chiesa, ma di coloro che la criticano), rinunciando al celibato dei preti, aprendo il sacerdozio alle donne, approvando il matrimonio degli omosessuali, chiudendo il Vaticano e ritirandosi in un umile monastero, proclamando che Cristo era sì una brava persona, ma forse non Dio e comunque non molto meglio di Buddha o Maometto... Insomma: questi 'commentatori' non solo pretendono di insegnare al Papa il suo mestiere, ma si aspettano un Papa che 'metta in soffitta' la Chiesa cattolica! (Il che ci ricorda una vecchia barzelletta: il sogno di un tifoso laziale? Diventare Presidente della Roma... per scioglierla!). Naturalmente tali critici si ritrovano puntualmente delusi da ogni Pontefice, subito etichettato come "conservatore", salvo essere rimpianto quando arriva il turno del successore...

Senz'altro più equilibrato il parere - pur dubbioso - di Alberto Melloni, apparso sul Corriere della sera del 20 aprile.

 

Il difficile approdo sull’isola dell’ecumenismo

Il futuro: che cosa vuole, che cosa può, che cosa non vuole Benedetto XVI

Bisogna provare a guardare a questo momento non come alla fine di un processo elettorale breve e duro, ma come a un inizio. I segni della continuità, infatti, ci sono: ma accanto c’è l’attesa di un inizio, i cui tratti possono emergere suddividendo ciò che il prefetto diventato Papa può continuare a volere o a potere, così come a ciò da cui potrà sottrarsi o meno.

CIÒ CHE VUOLE
Nessuno potrà rimproverare al cardinal Ratzinger di avere camuffato ciò che gli stava a cuore. Non l’ha mai fatto e non lo farà mai. Al Vaticano II, come consultore del cardinal Frings, aveva assunto posizioni molto forti. Dopo, nelle turbolenze della Chiesa e della teologia tedesca postconciliare, ha progressivamente preso le distanze da quelle speranze anche sue, fino a diventare uno dei primi a chiedere ad alta voce un disciplinamento. Da cardinale, dopo la breve esperienza di Monaco, ha gestito le condanne e le definizioni di papa Wojtyla, relegando sempre più lontano il Vaticano II che invece per Giovanni Paolo II era un riferimento sereno e rasserenante. Ciò che egli vuole è parlare chiaro e lo farà: l’ha fatto prima, l’ha fatto nell’elezione, e lo farà da Papa. Certo non tutto si riduce a questo, perché il cambio di ruolo non sarà senza conseguenze. Benedetto XVI dovrà scegliersi un nuovo prefetto della congregazione della dottrina della fede e nuovi collaboratori (dalla politica internazionale alle nomine, dal dialogo interreligioso alla disciplina del clero) che non potranno essere puri «assistenti », nella logica accademica, ma collaboratori d’un governo planetario.

CIÒ CHE PUÒ
Di certo, un teologo aduso alla battaglia intellettuale non vorrà limitare il suo pontificato ai gesti. Benedetto XVI, all’opposto di Wojtyla, è tutto e solo un Papa professore, uomo di scrittura e di pensiero; dunque tornerà al magistero delle parole, dei documenti, dell’elaborazione dottrinale. Un periodare non privo di afflato spirituale (basta rileggere la parte sulla preghiera del «Catechismo della Chiesa universale»),masempre distillato in concettualizzazioni.

Dopo le encicliche lunghe e antologiche del pontificato wojtyliano, nelle quali mettevano mano molti ecclesiastici, felici di veder consacrato in un rigo un’influenza che non avevano, Benedetto XVI non potrà non far valere la sua perizia di scrittura e di pensiero, anche a costo di gelare l’incontro con ebrei e musulmani. Questo, però, lo caricherà di una ben più vasta responsabilità, perché lo esporrà di nuovo al rischio di essere disputato e la Chiesa a una stagione di malessere.

CIÒ CHE NON VUOLE
Benedetto XVI — tutta la sua biografia intellettuale lo dice—non vuole certo aprire una stagione di contestazione o di lacerazione, ma anzi chiuderla, se ve ne fosse rimasta, anche a costo di usare le armi della severità. Quell’atteggiamento di confronto che sembrava essere la bandiera dei cardinali rivelatisi minoranza non è lo strumento che egli preferisce per ripristinare le fisiologie del governo rimaste a lungo anchilosate dall’immensità mediatica della figura di Giovanni Paolo II. Egli potrà, certo, promuoverne la beatificazione, fors’anche in tempi sorprendentemente brevi: ma certo, non potendo emularne nemmeno con questo atto il ruolo di magnete, dovrà affrontare la questione del governo della comunione. Può darsi che egli non receda dalla sua posizione sulle conferenze episcopali (alle quali non riconosce una consistenza teologica, considerandole organismi funzionali e non essenziali alla comunione). Ma egli stesso — basta rileggere le meditazioni del Venerdì Santo sulla sporcizia nella Chiesa o l’omelia di lunedì sulla barca di Pietro che fluttua sballottata dai venti —ha denunciato il fatto che nemmeno l’ex Sant’Ufficio è in grado di prevenire processi degenerativi gravi, senza forme adeguate di corresponsabilità, che il suo passato pare dire che non vuole.

CIÒ CHE LO ASPETTA
Da qui alle cose che il nuovo Papa dovrà affrontare, comunque, il passo è breve. Ma porta su un’isola vasta e difficile. È l’isola dell’ecumenismo. Fermo nell’impedire l’accordo con la Chiesa anglicana nel 1983, deciso nel sostenere una descrizione della Chiesa discendente (nella quale la Chiesa universale antecede le Chiese locali) incomprensibile all’ortodossia, duro contro una Turchia che è sede del trono di Andrea, papa Ratzinger deve ora misurarsi con una responsabilità ecumenica che non è quella di un privato teologo e non può più esserlo: il sottile argomento che gli consentiva di scindere la sua convinzione privata da quella dell’ufficio che ricopriva è cancellato dall’altezza della carica ora assunta. Anche se non volesse, il destino della irreversibile vocazione ecumenica del cattolicesimo (destino in cui è inclusa la visita a Mosca) diventa da oggi una parte scomoda dell’agenda di Benedetto XVI di cui egli sa di dover rispondere a Dio e alla storia.

Lo stesso può dirsi dell’agenda politica: anche su questo piano l’atteggiamento tiepido verso lo sforzo di costruzione dell’Unione (una realtà politica che è costitutivamente «relativista», per usare il linguaggio di ieri l’altro) del cardinale Ratzinger non potrà essere semplicemente validato. Il destino dell’Europa, che poi significa un’immagine del mondo e della pace, dovrà essere oggetto di una considerazione più ampia di quella che può costituire una riflessione teologico-politica. E poi ci sarà tutto il capitolo Asia e i nodi politici del rapporti con gli Usa, nel quadro del destino di una Chiesa a rischio di implosione, e le grandi piaghe del mondo povero, che non è quasi mai possibile far rientrare nelle eleganti architetture di una Vorlesung.

A 78 anni, inizia il pontificato di Benedetto XVI. Un pontificato che è stato pensato ancora una volta nelle categorie della transizione (Ratzinger ha passato di pochi giorni l’età che aveva Roncalli quando fu eletto) e che, come sempre, non potrà essere tale, nel senso un po’ quieto e bonaccione che tradizionalmente si attribuisce al termine.



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