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Perché è sbagliato proibire le droghe Stampa E-mail
23/06/07

articolo di riferimento: Perché è giusto vietare l'uso di droghe

L'articolo “Perché è giusto vietare l'uso di droghe”, apparso qualche giorno fa su “Europa Oggi”, ad opera di Francesco Cassani, mette in luce una certa dose di approssimazione con la quale spesso si affrontano i temi caldi della società moderna. L'autore, umanamente pervaso dalla volontà di impedire che gli uomini si facciano male con le droghe, cerca di giustificare la proibizione delle stesse.

Dapprincipio, l'autore si rivolge contro la consueta distinzione tra “droghe leggere” e “droghe pesanti”, affermando che la distinzione è arbitraria e che comunque fanno tutte malissimo.
Effettivamente, ad essere arbitraria è la definizione stessa di “droga”. Tanto è vero che viene quotidianamente aggiornata, arbitrariamente dai politici. E tanto è vero che cambia con i confini geografici e nel tempo. Ad esempio, ci si  dovrebbe chiedere come mai la cannabis è una droga in Italia, ma non in Giamaica. Questo a meno di non tacciare il popolo Giamaicano di inferiorità, è un sintomo di arbitrarietà. Ci si dovrebbe chiedere perché l'alcool stesso, negli anni venti in America era una droga. Dopo ha perso il suo status di sostanza psicotropa? Eppure mi risulta che sempre di etanolo si tratti.
Ogni Stato decide arbitrariamente  cosa è una droga, in che misura, e fin quando lo sarà. Considerato che nella realtà lo Stato è una congrega di cittadini perfettamente umani e fallaci, non vedo cosa ci sia di più arbitrario.
Ancor meno convincente risulta poi l'argomentazione secondo cui si definirebbero droghe quelle sostanze
assunte direttamente per gli effetti psicotropi. Innanzi tutto verrebbe da chiedersi come si fa ad essere certi che una persona assuma una sostanza proprio per ottenere effetti psicotropi, e non per qualunque altro motivo. Il processo alle intenzioni non è mai una cosa saggia. Ma ancor più importante, è che lo stesso discorso può farsi per tonnellate di sostanze legali. Potrei affermare che la gente fuma sigarette per l'effetto psicotropo della nicotina. Che in discoteca i ragazzi assumono diversi alcolici non perché abbiano sete, ma per l'effetto psicotropo che provoca l'alcool nei loro cervelli.
Da questo punto di vista quindi, non vedo come si possa indulgere all'alcool, alla nicotina, e fare poi i repressivi con la cannabis.

Né ha un gran senso la disquisizione successiva sui danni che provoca la droga. Perché se questi vengono confrontati con i morti per fumo o per alcool,  la differenza è abissale. Per non parlare poi della pericolosità per gli altri. L'abuso di alcool provoca migliaia di morti sulle strade in continuazione. Un eroinomane, difficilmente riuscirebbe a far partire una autovettura.
In effetti, nel proseguo l'autore si arrampica su specchi concavi, nella vana speranza di spiegare la differenza tra uno spinello , l'alcool, la nicotina.
Sull'alcool, afferma che sia preso per scopi alimentari o digestivi. Se questo può essere vero per birra e vino e qualche amaro (che però guarda caso non hanno l'IVA dei prodotti alimentari), non può essere lo stesso per whiskey e cocktail particolarmente alcolici (tipo B52).

Poi afferma che invece l'abuso di alcool viene represso con il divieto di guida. (Ma non ci spiega perché invece la marijuana è vietata anche quando stai dentro casa tua, né perché ti ritirano la patente anche se ti beccano a piedi)

Sulla nicotina, afferma che non cambia il comportamento delle persone. Beh, provi a parlare con un fumatore incallito per due ore senza farlo fumare...

Prendendo comunque come assodata l'idea che tutte le droghe facciano male, cosa della quale, a scanso di equivoci, sono convinto, rimangono molti dubbi sull'affermazione secondo cui non hanno alcun effetto benefico. Vari studi evidenziano, almeno per quanto riguarda la cannabis, molte proprietà curative per malattie come il Parkinson e il Glaucoma. Ci sono studi che affermano anche il contrario, è vero, ma bisognerebbe almeno ammettere che la scienza ha opinioni discordanti in merito.

L'approssimazione con la quale viene sviluppato l'argomento, ha un crescendo nel proseguo nell'articolo. Quando l'autore incomincia a parlare di libertà personali, cercando di far collimare i due opposti: il proibizionismo sulle droghe e l'essere liberali. L'Autore dice:

L'uso delle droghe non rispetta la libertà degli altri e il bene comune, perché alimenta la delinquenza organizzata (senza la domanda non ci sarebbe l'offerta), stimola comportamenti violenti e causa incidenti nella guida o nell'esercizio di delicate professioni."

Ma dimentica che la criminalità organizzata è il prodotto naturale e scontato di una politica proibizionista. Se le droghe fossero legali, le venderebbero in farmacia, non agli angoli della strada i delinquenti. Il fatto che poi stimoli comportamenti violenti, è una sua generalizzazione. Sicuramente dipende dal tipo di droga e dalla persona che ne fa uso. Ad esempio, non ho mai visto un ragazzo fatto di hascish diventare violento, mentre quasi la totalità di quelli fatti di alcool lo diventano.
Il fatto che causi incidenti nella guida e nelle professioni, è invece vero, e un vero liberale si batterebbe per impedire la guida sotto effetto di stupefacenti. Questo vale anche per le delicate professioni.

“Ammettere che un individuo possa danneggiare irreparabilmente la propria salute (con le droghe, o con altri mezzi) significherebbe altresì esporre ogni individuo al rischio di essere indotto da altri (con suggestioni psicologiche, o col ricatto) ad atti autolesionistici. Significherebbe infine consentirgli di danneggiare la propria dignità.
Il codice civile dispone che "gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino  una diminuzione permanente della integrità fisica": non è una limitazione della libertà, ma una protezione della stessa, prevista in una norma che è considerata di rilievo costituzionale (in quanto espressione della "tutela della salute", sancita dall'art. 32 Cost. "come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività" ).“

Questo periodo nasconde tendenze da stato etico, e il fatto che il codice civile preveda una tale norma è indice di quanto poco liberale sia lo stesso e forse anche la nostra costituzione.  La dignità di una persona è soggettiva. Se ritenesse dignitoso vivere quaranta anni da tossico e poi morire, non vedo chi sia in grado di giudicare “dignitoso” o “non dignitoso” il comportamento di questa persona. Né chi si sentirebbe nel giusto imponendogli di vivere fino a 70 anni. Magari legandolo...
Di chi è la proprietà della vita? Dello Stato?

Il discorso potrebbe riallacciarsi al diritto di suicidio, che dovrebbe essere sacrosanto. La tutela della salute è un servizio che il cittadino paga allo Stato. Perché viene prima il cittadino e solo dopo lo Stato. Come tale non può essere imposto contro la volontà dell'individuo. E' proprio con questo discorso socialista che siamo arrivati ai regolamenti deliranti degli ultimi decenni. Il casco diventa obbligatorio se vai in moto, in bicicletta, sui pattini, sugli sci... Non si vendono alcolici dopo una certa ora in autostrada, impedendo ad interi autobus di farsi un grappino per la paura che se lo faccia l'autista. La fiducia e il rispetto dell'intelligenza umana sono sotto le scarpe.
Si vogliono regolamentare pure le abitudini alimentari dei cittadini, perché altrimenti “incidono sulla spesa sociale”.

Nei suoi ragionamenti, l'Autore fa il solito errore di voler reprimere a priori la libertà, perché qualcuno potrebbe usarla male. Quello che va punito è il REATO, non la possibilità che questo venga poi commesso.  Siamo già arrivati a “Minority report”?
Questa è l'essenza del “libero arbitrio” cristiano. Essere liberi di sbagliare e pagarne le conseguenze.

In seguito, l'Autore si lancia in un attacco contro l'antiproibizionismo.

“Cosa dice dunque la teoria antiproibizionista? Che vietare un comportamento non equivale ad eliminarlo, ma solo a spingerlo nell'illegalità, mettendo a rischio chi lo pratica ed alimentando la criminalità organizzata. Nel caso degli stupefacenti, in particolare, il "proibizionismo" farebbe diventare le droghe un prodotto raro e costoso, arricchirebbe la criminalità che ne fa spaccio, 'costringerebbe' i tossicodipendenti a rubare per permettersi la 'roba'. “

Vero, ma non lo dice la teoria antiproibizionista. Si chiama legge di mercato, e non funziona solo con le droghe. Funziona con le sigarette, funzionò con l'alcool, funziona tuttora con le droghe pesanti, funziona con le armi, funziona anche con l'uranio. In tutto il mondo, in tutti i tempi, nessuna cosa proibita per legge ha mai smesso di circolare. Ma dirò di più, non serve che la merce sia vietata, è sufficiente che il suo valore sia più alto del prezzo di mercato, per effetto della tassazione. Comunque l'antiproibizionismo, abbraccia in pieno la dottrina liberale in questo campo. E per quanto riguarda il prezzo, l'antiproibizionismo non si sogna di finanziare le droghe con i soldi pubblici. Afferma che il prezzo di mercato è talmente basso che nessuno commetterebbe furti per la “roba”.

Non convincono neppure i motivi per chi la teoria antiproibizionista debba essere assurda. Il liberalismo pone dei vincoli esatti ed immutabili per l'uso della coercizione. Ed è il danneggiamento della proprietà altrui. Nel caso di un drogato, non si danneggia nessuna proprietà altrui, ma solo quella del drogato, che è libero di danneggiarla e pagarne le conseguenze.
Nel caso di una rapina, invece è lecito lottare e proibirla. Gli esempi dell'evasione fiscale e della mafia invece sono molto
border line. In effetti la logica dice che  la tassazione sta al pagamento del pizzo come lo Stato sta alla mafia. Entrambi stabiliscono unilateralmente il prezzo di servizi non sempre richiesti, e lo riscuotono con la forza.
Ci sarebbe molto da parlare su quest'argomento.

In seguito non considera la differenza che passa tra un comportamento disapprovato ed uno proibito. Una qualunque campagna di sensibilizzazione eviterebbe l'”effetto dirompente” che dovrebbe scaturire da una liberalizzazione (non ho paura  a definirla così), in quanto non tutto ciò che è lecito è anche auspicabile. Questa tra le altre cose è la sostanza del libero arbitrio che Dio ha dato agli uomini. Come potrebbe l'uomo riconoscere il bene se gli è impedito di scegliere il male?
Inoltre, non capisce che l'antiproibizionismo non chiede “dosi gratuite distribuite dallo stato”, perché è perfettamente conscio dell'inutilità delle stesse. Chiede che vengano vendute come qualunque altra merce. In seguito, fa l'implicita supposizione che lo stato debba aumentare la lista delle sostanze consentite, piuttosto che gettare completamente tale lista. Cade perciò nella supposizione che un nuovo prodotto, non compreso in queste liste, finirebbe con l'essere spacciato dalla malavita organizzata. Ma in un mondo antiproibizionista, il nuovo prodotto sarebbe legale, e allora non ci sarebbero malviventi a venderlo, ma gente comune.

Quello di cui non abbiamo bisogno invece, è di una politica costosa e improduttiva, che distolga le forze dell'ordine dai furti, dalle rapine, dagli omicidi, dalle violazioni dei diritti di proprietà e vita delle persone,  per dare la caccia a gente che compra, usa e vende droghe. Quello di cui non abbiamo bisogno è uno Stato che butti via soldi per costringere le persone a comportarsi come esso stesso crede sia “giusto”, sia “dignitoso”. Quello di cui non abbiamo bisogno è uno Stato Etico che si erga a supremo padrone delle vite delle persone che  ad esso hanno affidato sempre e solo il compito di proteggerlo dagli altri, e non da se stessi. Uno stato al quale nessuno ha chiesto di imporre salute obbligatoria, imporre istruzione obbligatoria (concorde col pensiero storico dello Stato e non libera di assumere diversi punti di vista).

I problemi connessi all'uso delle droghe sono dovuti solo ed esclusivamente ad una società in decadenza, fortemente socializzata, nel senso più spregiativo del termine, che prima collettivizza i costi, poi si accorge che in questo modo le spese salgono. Salgono perché la collettivizzazione dei costi provoca solo de-responsabilizzazione nelle persone. Un esempio banale e quello per il quale quando al ristorante si paga alla romana, il costo complessivo è sempre maggiore, visto che ognuno è incentivato a spendere più della media. Aumentate le spese, lo Stato decide quindi  di limitare la libertà personale per poterle contrarre. Ma per farlo deve spendere di più. Invece di prendere la direzione della responsabilizzazione delle spese (esempio assicurazioni sanitarie private, e per i meno abbienti tramite fondi volontari), lo Stato preferisce restringere ancor di più le libertà personali, dando luogo ad un perverso circolo vizioso dove in un mare di regolamenti e di norme, affoga tutta la libertà umana e con essa tutto il benessere che la rivoluzione industriale capitalista ha portato.

                                                                LibertyFighter

Risponde Francesco Cassani:

Caro lettore,

innanzitutto ti ringrazio per l’attenzione che hai dedicato al mio articolo.

Mi spiace un po’ che tu ne parli come esempio di “approssimazione”. Tutte le tesi (le mie in primo luogo) sono discutibili, e suscettibili di essere argomentate in modi sempre migliori. Credevo però di aver dedicato molta cura (frutto anche di un’attenta documentazione) nell’elaborazione di un articolo che tutto mi sembrava, tranne che approssimativo (anzi, temevo fosse troppo dettagliato). Tant’è.

Che cosa ho da replicare io, a mia volta, alle tue osservazioni?
Beh, a me sembra che queste osservazioni, senz’altro interessanti, non intacchino la validità dell’impianto del mio articolo. Questo perché, per certi versi, “aggirano” alcune questioni fondamentali che ho posto; per altri versi, esprimono piuttosto una – legittima - posizione ideologica.

Non rinuncio, in ogni caso, a qualche precisazione.

1) E’ arbitrario “definire” le droghe? Questa definizione cambia con i luoghi e i tempi? Vero, ma non mi sembra che ciò faccia venir meno l’utilità di ragionare su una tale definizione qui e ora, nel nostro contesto politico, sociale e culturale.
Per parte mia (riprendendo studi medici internazionali, le tabelle dell’OMS, quelle della legislazione italiana) una definizione precisa della categoria l’ho data, sia di carattere generale (basandomi sulle proprietà chimiche oggettive, e non sulle intenzioni dei consumatori), sia facendo menzione delle singole sostanze che vi possono rientrare. Rifiutare per principio la possibilità definitoria significa rifugiarsi in una disputa nominalistica un po’ astratta. Sarebbe come negare l’opportunità di perseguire i reati, vista l’impossibilità di dare una “definizione” precisa e universale delle singole fattispecie di reato... o negare la possibilità di curare le malattie, vista l’impossibilità di dare una definizione nosografica delle diverse patologie che risulti assolutamente valida per ogni singolo caso clinico...

2) Mi sembra, caro lettore, che tu sorvoli con troppa facilità sui dati allarmanti relativi alla pericolosità delle droghe, ricorrendo al noto argomento che confronta la mortalità dovuta alle droghe con quella dovuta all’uso di altre sostanze. Ebbene, nel mio articolo avevo già evidenziando come si tratti di un argomento che non fornisce da solo elementi utili a definire l’atteggiamento da tenere verso le diverse sostanze. Si tratta, infatti, di un argomento che viene letto spesso in maniera deformata; che non distingue tra uso e abuso di una sostanza; e che – soprattutto - non tiene conto dei danni non immediatamente visibili – ma gravissimi – che producono le droghe.

Per inciso: l’IVA non è uguale per tutti i prodotti alimentari. Il diverso assoggettamento è il retaggio di una vecchia distinzione tra generi di prima necessità e altri generi alimentari: per alcuni è al 4% (pane, pasta, frutta, formaggi), per altri al 10% (zucchero, carni), per altri ancora al 20% (gli alcolici, ma anche caffé, acqua minerale, succhi di frutta).

Ti dici anche tu convinto che le droghe facciano male, salve eventuali proprietà terapeutiche da accertare (ma se ricerche accurate accertassero l’utilità farmacologica di alcuni principî attivi, sarà utile creare farmaci basati su quei principî, da utilizzare dietro prescrizione e sotto stretto controllo medico - per contenere gli effetti collaterali -, come già avviene per gli oppiacei nelle terapie antidolorifiche; ciò non ha nulla a che vedere col libero uso di stupefacenti).
Ma non basta sapere che le droghe “fanno male”: le droghe – anche in “modica quantità” –: bruciano il cervello, rovinano la vita! Anche se non guidi... Non lo dico io, ma lo dicono tutti i più recenti studi internazionali, lo dice la Società italiana di Psichiatria (nota lobby proibizionista?).

3) L’atteggiamento diverso (repressivo) da tenere verso le droghe, si giustifica non solo per la loro pericolosità individuale e sociale (un alto numero di schizofrenici o di depressi non è un problema esclusivamente individuale...), ma anche per la mancanza di un bene individuale da difendere. Dalla droga viene solo male, anche per il loro semplice uso.

Quanto ai danni collaterali che potrebbero determinare, non c’è bisogno di reprimere il reato dopo che si è verificato, se posso prevenirlo senza intaccare nessun diritto. Per fare un paragone: non posso limitarmi a punire il reato di strage, ma posso anche punire la mera detenzione di una bomba a mano (e prevenire così la strage), perché quel possesso non individua nessun bene meritevole di tutela. Anche la guida incosciente può provocare una strage, ma il semplice uso di un’auto costituisce di per sé un bene per gli individui.

Che le droghe costituiscano un caso a sé, e richiedano una disciplina particolare, non è un pregiudizio proibizionista e antiliberale, se è vero che lo sostiene ora anche un giornale paladino dell’ideologia radicale e antiproibizionista come The Indipendent...

4) Ho ben chiara la differenza tra disapprovare e proibire un comportamento. Tant'è che ho parlato di politiche di sensibilizzazione contro il fumo e l'abuso di alcool. Anche le politiche di "disapprovazione" da parte dello Stato sono da considerarsi, in un'ottica liberale, eccezioni. Da ammettere - come il divieto di drogarsi - in casi particolari.

5) Ciò che ci divide – riprendo una mia considerazione iniziale – mi sembra piuttosto un tuo approccio “ideologico”. Mi sembri convinto che la libertà personale debba essere intesa come possibilità materiale di effettuare le scelte desiderate in un certo momento. Mi sembri altresì convinto che questa libertà (e, quindi, il liberalismo filosofico assoluto, il libertarismo sociale, il liberismo economico rigido) sia il valore unico da difendere (ti assicuro però che non è questa “l’essenza del libero arbitrio cristiano”).

Io, invece, penso che la libertà non sia solo quella “fare quello che mi pare”, ma anche quella di determinare me stesso, indirizzare la mia vita verso scelte globali e consapevoli, come abbiamo cercato di spiegare anche in altri articoli pubblicati su questo sito.

Tu affermi possibile che una persona “ritenga dignitoso vivere quaranta anni da tossico e poi morire”. Sai bene però che, in concreto, non è così: nessun uomo sceglie consapevolmente l’infelicità. Il problema è che le scelte umane non sono sempre consapevoli (e quindi libere). Chi, ad esempio, è cresciuto in una situazione di miseria o di degrado, può proseguire sulla stessa strada non perché inetto o perché lo abbia deliberatamente scelto, ma perché non conosce prospettive diverse.

Vale anche per le leggi di mercato. La teoria delle “aspettative razionali” presuppone che, se le scelte degli operatori economici fossero sempre razionali, non ci sarebbe bisogno di nessun intervento pubblico correttivo. Ma la realtà ci dice che l’uomo non è un essere esclusivamente razionale. Liberalismo, libertarismo, liberismo possono diventare ideologie rigide e astratte (come il socialismo), che ci fanno chiudere gli occhi di fronte alla realtà e dimenticare il bene dell’uomo concreto.
Per inciso: l’antiproibizionismo non è una manifestazione della libertà di mercato, la quale ha bisogno di regole che non si limitano alla protezione della proprietà altrui. Servono regole per far funzionare la concorrenza (informazione dei consumatori, lotta ai monopoli, circolazione trasparente dei capitali, ecc.). Servono regole anche per limitare la libera circolazione di alcuni prodotti: droghe (gli stessi antiproibizionisti, ricordavo nel mio articolo, parlano di “legalizzazione” perché individuano alcune droghe non commerciabili), organi umani, armi da fuoco, prodotti che incitino alla violenza, all’odio razziale o alla pedopornografia. Se è vero che ridurre la disponibilità di un bene o calmierarne il prezzo stimola il mercato nero, è anche vero che, per alcuni beni, è socialmente più conveniente combattere questo mercato nero, piuttosto che consentire la diffusione di tali beni.

Quanto detto significa che l’uomo è incapace di usare la sua libertà, e può esserne privato da uno Stato che si sostituisce agli individui nelle scelte? Quello sarebbe certo uno Stato etico. Inaccettabile: perché le scelte pubbliche non sono quasi mai migliori di quelle private, e perché la libertà è un bene fondamentale di cui l’uomo non può essere privato neanche quando sbaglia.
Il mio punto di vista, però, è ben diverso, e si tratta di una differenza fondamentale (non mi arrampico su specchi concavi...): c’é bisogno sì di interventi pubblici, ma non per sostituirsi alla libertà degli individui, per imporre una direzione di vita; bensì per preservare le condizioni che consentano ad ognuno di effettuare concretamente le sue scelte libere.
Che tali interventi pubblici siano ammissibili, lo affermano unanimi tutti i padri del pensiero liberale (diverso – beninteso – da quello anarco-libertario): Stuart Mill, Locke, Hamilton, Tocqueville, Lord Acton e – in tempi più recenti – Popper, Von Hayek, Rawls.
Su quali interventi siano concretamente ammissibili, le opinioni, naturalmente, divergono...

Per parte mia, penso che lo Stato possa - e debba - difendere la famiglia, che è presidio di libertà dei singoli. Lo Stato può imporre l’istruzione obbligatoria (anche se dobbiamo vigilare sul pluralismo dei suoi contenuti e degli enti abilitati ad erogarla), perché l’ignoranza conduce alla schiavitù, e non alla libertà. Lo Stato può e deve vietare le mutilazioni genitali femminili, anche se richieste “spontaneamente”. Lo Stato può impormi alcune scelte economiche (ad esempio, l’assicurazione per la responsabilità civile per i danni derivanti dalla circolazione di autoveicoli), per evitare che la mia superficialità (risparmiare poche centinaia di euro di assicurazione) possa condurmi alla rovina in caso io provochi un incidente. Lo Stato può imporre alle compagnie telefoniche un numero limitato e comparabile di profili tariffari, perché la proliferazione di profili incomprensibili riduce la possibilità di confronto, riduce la concorrenza e, quindi, riduce la mia libertà.
E così via, con una serie di misure che debbono essere ridotte al minimo, ma non possono essere definite in assoluto e per sempre. Anche se ciò può irritare chi immagina sistemi socioeconomici perfetti. (Quanto alle droghe: Mill era contrario al divieto, Popper favorevole...)

In definitiva, ritengo che chi ami la libertà debba avere il coraggio di perseguirne una dimensione più completa, anche se problematica.

Inoltre, la libertà è un valore di cui condivido la centralità, ma non l’esclusività. Deve sposarsi - insisto - con la dignità della persona, di cui è una manifestazione; deve sposarsi con la solidarietà, anche perché solo così la libertà stessa può diventare patrimonio effettivamente condiviso. L’uomo è “animale sociale”, è persona che vive del suo tessuto di relazioni. Il pensiero cattolico-liberale, o liberal-democratico, mi sembra meno rigido e più realista di quello liberale-liberista-libertario intransigente.

Questo discorso può sembrare fuori registro in un Paese come l’Italia, in cui siamo molto indietro nel campo delle libertà economiche. Ma dobbiamo fare attenzione a non buttare via il bambino con l’acqua sporca. Dobbiamo far attenzione a non pensare che le grandi battaglie per la libertà possano essere ridotte alla “libertà” di rintontirsi con gli spinelli... Dobbiamo evitare che l’utopia astratta di un uomo totalmente “libero” ci faccia chiudere gli occhi di fronte alla realtà concreta di tanti giovani che buttano via la loro vita.

Se tu vivessi – per fare un esempio - in Ciad, saresti probabilmente molto meno felice che in Italia. Anche se lì ti fosse concessa la massima libertà. Questo perché la libertà individuale è una condizione della felicità dell’uomo, ma non la esaurisce. Esiste un “capitale” umano, culturale, religioso, sociale che ci circonda; ed abbiamo la responsabilità - anche politica - di promuoverlo e difenderlo.

 


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