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Temi caldi - Droghe
Da Vasco a Finardi, ode allo spinello Stampa E-mail
Quando tutti i big della canzone d’autore manifestarono per distinguere tra eroina e marijuana
      Scritto da Eugenio Arcidiacono e Alberto Furlanetto
20/05/07
vascorossi_marijuana.jpg
Vasco Rossi in concerto con una maglietta che invoca la legalizzazione della marijuana
«Che bello, due amici, una chitarra e lo spinello...». Così cantava il cantautore Stefano Rosso nel 1976. Gli allucinogeni e l’eroina che avevano distrutto le vite di miti del rock come Janis Joplin, Jimi Hendrix e Jim Morrison erano passati di moda nelle canzoni ed erano stati sostituiti dalla marijuana. Una sostanza da fumare in compagnia, simile a un buon bicchier di vino («e la notte quei ricordi della sera, tra i fumi degli spini e la barbera», A Katmandu, Rino Gaetano), che rende allegri, ma che è, nei testi di queste canzoni, sostanzialmente innocua.

C’è anche chi si spinse più in là e chiese esplicitamente la legalizzazione di tutte le droghe («Non si può mettere sullo stesso piano chi si buca o si fa uno spino con chi spaccia quintali di eroina per minare una generazione», Legalizzatela, Eugenio Finardi). Da allora, l’atteggiamento dei cantanti italiani nei confronti della marijuana non è cambiato: tra i numerosi "inni allo spinello" troviamo Una canna piena di magia di Elio e le Storie tese, La mia signorina di Neffa e Ohi Maria con il famoso verso «le vacanze le farò in Giamaica dalla mia Maria bella. Aspetto e intanto voto Pannella» che gli Articolo 31 cantarono anche a Domenica in, suscitando roventi polemiche. Da anni, inoltre, il rocker più seguito dai giovani, Vasco Rossi, canta nei suoi concerti con una maglietta su cui è stampata una foglia di marijuana e la scritta "Legalize". Intervistato in proposito, dichiarò che la marijuana «è una pianta naturale, non crea dipendenze e non fa male come altre sostanze».

Nel 2003 si è anche arrivati a uno scontro frontale fra politica e mondo della musica, quando l’allora vicepremier Gianfranco Fini chiese ai cantanti di «riflettere prima di dire che drogarsi in qualche modo è un diritto». La risposta fu affidata a un comunicato firmato da quasi tutto il gotha della canzone d’autore, da Paolo Conte a Francesco Guccini, da Antonello Venditti a Lucio Dalla, da Enzo Jannacci a Zucchero, da Vasco Rossi a Ligabue, ma anche da idoli dei giovanissimi come Daniele Silvestri e Laura Pausini, su cui era scritto: «Siamo tutti contro la droga, ma non possiamo far finta che non ci siano differenze fra droghe leggere (cannabis, marijuana, campari) e droghe pesanti (eroina, ecstasy, cocaina)».

E ancora: «L’eroina, senza bisogno di leggi speciali, ma solo con l’informazione sui rischi e le conseguenze, è notevolmente diminuita». La stessa situazione si è ripetuta tre anni dopo, in occasione della presentazione del decreto Giovanardi sulle droghe, quando 70 artisti presentarono un appello al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi per negare la firma «a una legge nefasta, dagli effetti sociali potenzialmente devastanti».

Anche nel cinema il messaggio che passa è sempre lo stesso: farsi una canna non fa male, o almeno non come le "altre" droghe. Basta citare uno dei film più amati dai giovani degli ultimi anni: Notte prima degli esami. «Ma se volessi farmi un canna?». «No problem, prof…, ci penso io». È il dialogo fra il professor Martinelli, interpretato da Giorgio Faletti, e lo studente Luca Molinari (Nicolas Vaporidis). Nella scena successiva, i due fumano insieme, mentre il professore ricorda «i bei tempi andati», quando «se non fumavi, non eri nessuno».

Avere in tasca una sigaretta di cannabis, procurarla agli amici, fumarla magari in compagnia è quindi una cosa del tutto normale, che serve anzi a fare esperienza. Un messaggio reso ancor più negativo dal fatto che chi promuove il consumo della cannabis non solo è un adulto, ma addirittura è un professore, un’autorità cioè chi dovrebbe educare i giovani verso comportamenti responsabili.

Anche dal campo della moda arrivano spesso messaggi che definire ambigui è poco. Come riporta lo psicanalista Claudio Risé nel suo libro Cannabis, come perdere la testa e a volte la vita, nel gennaio del 2007 lo stilista italo-persiano Farhad Re ha fatto sfilare a Roma modelle e bambini che indossavano messaggi choc: «Amo il Prozac», «Amo l’alcol», «Amo la droga». Interrogato al riguardo dal Corriere della Sera, ha risposto: «Con questa provocazione volevo dire che si può amare ogni cosa, anche sbagliata o sbagliando».

Non mancano tuttavia, pure se sono ancora rare, prese di posizione diverse da parte degli artisti. Pochi mesi fa Toby Bourke, parlando dell’amico e collega George Michael, più volte arrestato per possesso di marijuana, ha dichiarato: «Questa droga ha distrutto la sua voglia di lavorare: George non riesce a pubblicare un disco da almeno 3 anni e non ha più fatto un tour significativo da 15 anni, benché sia molto famoso. Non penso che il suo pubblico avrà ancora qualcosa da lui: praticamente è impazzito, ed è tutta la cannabis che ha fumato ad averlo reso così»


(pubblicato su Famiglia Cristiana del 20-5-2007)



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