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Lettere
Il diritto di esistere delle coppie di fatto Stampa E-mail
12/05/07

articoli di riferimento in categoria Famiglia

C'è un manifesto, in tutta questa assurda propaganda, che mi ha colpito. Vi sono ritratti una bella coppia, col loro bel bambino, sullo sfondo un candido nonno da fotoromanzo e, last but not least, la sagoma bonaria di Clemente Mastella. Il poster è completato da uno slogan inneggiante alla difesa della famiglia. Ho avuto un pensiero destabilizzante: e se quei due giovani sorridenti NON  FOSSERO SPOSATI? Cosa cambierebbe? La loro faccia sarebbe meno pulita? Il sorriso di quel bambino meno dolce? Il nonnino sarebbe un pò più malandato?
La risposta è evidente: non cambierebbe NIENTE!

Penso a mia sorella, non sposata, e alla sua meravigliosa famiglia (SI! FAMIGLIA, Dio Santo!), dove vado a tuffarmi per colmare, fra le braccia del mio nipotino e le risate col suocero, i miei vuoti affettivi, il mio bisogno
di FAMIGLIA. Sensazione che non ho in case benedette dal rito di Santa Romana Chiesa, matrimoni che sono stati palliativi a mancanze più profonde, soddisfazione di mediocri ambizioni borghesi ed altro ciarpame morale che
non attiene, questo sì, al concetto sacro di famiglia. Le Parrocchie accolgono queste coppie, benedicono questo ciarpame, pur di annoverare due altre pecore nel loro gregge, due altri sudditi nel Regno Pontificio. E
dall'altra parte rifiutano l'accoglienza al mio meraviglioso nipotino e al suo perenne sorriso, solo perchè figlio di non sposati.

Si affronti allora il problema del riconoscimento legale delle coppie, che di certo ha come unica soluzione una dichiarazione impegnativa a qualsiasi titolo, ma non confondiamo l'atto giuridico con il valore, esistente, profondo, radicato nella natura umana che spinge un uomo ed una donna a voler affrontare la vita insieme e a volerla perpetuare trasmettendola ad un nuovo essere.
Valore che non ha bisogno di altro diritto, che quello di poter ESISTERE.

Valter


Caro lettore,

nella Sua lettera sono sovrapposti due aspetti della questione: il riconoscimento delle coppie di fatto da parte della Chiesa e da parte dello Stato.

Partendo dal primo aspetto: la Chiesa, Lei dice, accoglie il "ciarpame" di matrimoni "borghesi" e rifiuta un innocente e sorridente bambino (ci immaginiamo che si riferisca al diniego del sacramento del battesimo).

Questo tipo di perplessità, forse, andrebbe posta direttamente ad un bravo sacerdote, il quale di persona potrebbe dare spiegazioni più approfondite e più mediatate, offrire l'occasione di un dialogo.
Per parte nostra, negli articoli che abbiamo pubblicato sul tema della famiglia ci siamo preoccupati di analizzare questo istituto dal punto di vista sociale e giuridico, piuttosto che religioso.
Se ci chiede di spendere qualche parola anche sulla Chiesa, ci limitiamo ad osservare che - per quanto ci consta - offre assistenza e conforto (spirituale e, spesso, anche materiale) a tutti: coppie regolari e non, battezzati e non battezzati, cristiani e musulmani, italiani e stranieri.
Altro conto è la piena comunione sacramentale. Per quella non bisogna essere necessariamente 'bravi' e senza peccato: la Chiesa è fatta per accogliere i peccatori (che non ci sentiremmo mai di definire "ciarpame morale": né se si tratta di coppie sposate, né se si tratta di coppie di fatto). Bisogna però avere la disponibilità ad accettare le regole e le indicazioni che fornisce come sostegno per un cammino di crescita umana e religiosa; regole che non ha stabilito capricciosamente, ma ha ricevuto in larga parte dal Suo Fondatore. I sacramenti non possono essere una "pretesa" di chi non si sente emotivamente e spiritualmente parte della Chiesa, di chi non si preoccupa di capirne le ragioni, anche perché l'appartenenza ad essa non è un obbligo.

Veniamo all'altro aspetto (il riconoscimento da parte dello Stato), partendo da una considerazione: non ci sembra si possa partire dai casi particolari per generalizzare.
Una gioiosa realtà familiare come quella che Lei sperimenta personalmente non può essere - purtroppo - trasferita a tutte le coppie e famiglie di fatto, le quali manifestano un tasso di instabilità molto più alto di quelle fondate sul matrimonio; tra le quali, poi, ce ne sono moltissime - lo avrà sperimentato anche Lei - fondate non sull'ipocrisia, ma su un affetto sincero, paziente, anche faticoso, che sa attraversare tanto i momenti della passione quanto quelli della sofferenza.
Il dato essenziale che abbiamo cercato di evidenziare nei nostri articoli (un po' lunghi, forse, ma proprio perché ci premeva affrontare le singole questioni in maniera non superficiale: ci auguriamo che abbia il tempo di leggerli con attenzione) è che quando si chiede un riconoscimento pubblico non si può chiedere un riconoscimento dei sentimenti: sarebbe aberrante uno Stato che sindacasse sui sentimenti delle persone.

Possiamo fare tante discussioni filosofiche su cosa è famiglia. Ma, dal punto giuridico, l'istituto è individuato con precisione dalla nostra Costituzione, la quale definisce un particolare status (con diritti e obblighi, che a qualcuno possono sembrare fastidiosi e inutili), collegandovi particolari garanzie, per la "famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio".
Il che non significa che le famiglie o le coppie di fatto non abbiano "diritto di esistere". Esistono, eccome, in virtù di una libera scelta che l'ordinamento rispetta. E noi auguriamo loro ogni bene.
I soggetti deboli che vivono al loro interno vedono riconosciuti dalle leggi e dalla giurisprudenza costituzionale anche una serie di diritti; ma uti singuli (seppure in connessione al loro stato di fatto) e non come famiglia. Se si vuole un ventaglio di garanzie più ampio, bisogna accettare di offrire all'ordinamento e alla società garanzie equivalenti (ufficialità e stabilità del vincolo, doveri), e non una "dicharazione impegnativa a qualsiasi titolo".

Non ci sembra che stiamo "confondendo l'atto giuridico con il valore". Innanzitutto, perché anche l'atto giuridico, nella misura in cui è assunzione ufficiale di responsabilità, è parte del valore. In secondo luogo perché, ripetiamo, nel momento in cui non parliamo solo di sentimenti, ma di diritti e doveri, questi sono definiti anche sulla base degli atti giuridici che poniamo essere.

Concludendo. Il Family Day ha voluto andare oltre la questione della polemica "Di.Co. sì / Di.Co. no" (anche se, come ben sappiamo, i media sono portati ad enfatizzare solo i dati polemici). Questa iniziativa vuole innanzitutto sensibilizzare sulla necessità di nuove politiche per la famiglia. 
Nel nostro piccolo abbiamo cercato di raccogliere anche questo invito, offrendo - ai lettori più pazienti - gli approfondimenti su quali siano queste politiche e perché sono necessarie. 



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