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Temi caldi - Famiglia
Le discriminazioni contro la famiglia italiana Stampa E-mail
Le attuali politiche sociali ed economiche penalizzano la famiglia fondata sul matrimonio
      Scritto da Giovanni Martino
09/05/07

In Italia, finalmente, il dibattito politico e culturale ha messo al centro la famiglia. Per un semplice motivo: si sta diffondendo la consapevolezza che il suo indebolimento è giunto a livelli insostenibili.

Infatti, è vero che sotto il profilo della difesa della famiglia dai tentativi di svuotarla di significato (mediante l’equiparazione giuridica ad altre forme di convivenza) l’Italia rappresenta una delle eccezioni positive nei Paesi occidentali. Ma dal punto di vista delle politiche sociali ed economiche la famiglia italiana fondata sul matrimonio è già ora oggetto non solo di equiparazione, ma addirittura di discriminazione:  in questo l’Italia costituisce un’anomalia negativa, fanalino di coda in Europa.
Sposarsi risulta spesso meno conveniente che convivere; avere figli per molti diventa un lusso.

Stiamo esagerando? Vediamo alcuni esempi concreti.

1) La politica fiscale, innanzitutto. Le imposte dirette (IRPEF) tengono in conto solo il percettore di reddito e non i carichi familiari (se non con detrazioni di entità poco più che simbolica). Per cui un individuo che guadagna 30.000 euro lordi annui e vive solo, può godere di un ottimo tenore di vita; un individuo che, con lo stesso reddito, ha moglie e tre figli a carico è povero (le statistiche ISTAT ci dicono che gran parte dei poveri, in Italia, è costituito dalle famiglie numerose).

Questo accade perché l'individuo che vive solo e il padre di famiglia subiscono la stessa pressione fiscale nominale, con buona pace dell’art. 53 della Costituzione, che fa riferimento alla “capacità contributiva”; e sappiamo bene che il reddito percepito è solo uno dei fattori che determinano tale capacità (la Corte costituzionale ha più volte sottolineato che "l'attuale trattamento fiscale della famiglia penalizza i nuclei monoreddito e le famiglie numerose con componenti che non producono o svolgono lavoro casalingo", Sent. n.358/1995).
E con buona pace anche dell'art.31, che promuove un favor familiae: "La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della  famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose". Accade tutto il contrario!

Per verificare la pressione fiscale effettiva, se invece del reddito nominale si tiene conto del reddito disponibile, si può vedere che le aliquote reali applicate sono molto diverse a seconda del numero di figli, soprattutto per i redditi più bassi, come dimostra la tabella seguente:


ALIQUOTE D’IMPOSTA REALI PER NUMERO DI FIGLI
 
(valori in percentuale)

Reddito equivalente relativo*
(convertito in euro)

Persona singola

Coniugi con un figlio

Coniugi con due figli

Coniugi con tre figli

Coniugi con quattro figli

6.500

7,0

20,0

26,4

33,4

40,2

11.600

17,0

24,9

29,7

34,1

37,9

19.200

22,6

28,7

31,9

34,4

36,6

26.600

26,1

31,1

33,7

35,9

38,1

34.000

28,7

33,2

35,4

37,1

38,7

43.700

31,4

35,1

36,7

38,1

39,4

53.800

33,3

36,1

37,4

38,5

39,5

74.500

35,5

37,9

39,1

40,0

40,9

*(reddito effettivamente disponibile, al netto dei costi per familiari a carico, che consente uguale livello di benessere).
I dati si riferiscono alle aliquote in vigore sino al 2004; le rimodulazioni operate dalla Finanziaria 2007, fatta la compensazione tra maggiori aliquote e addizionali - da una parte - e maggiori detrazioni e assegni - dall'altra -, non hanno migliorato il quadro. Anzi: il passaggio dal sistema delle deduzioni a quello delle detrazioni ha peggiorato la situazione delle famiglie numerose quanto alle addizionali degli enti locali.


Insomma, l’uguale trattamento formale si traduce in una grande disuguaglianza sostanziale, che penalizza chi ha figli.

Bisogna poi aggiungere che sul lavoratore con famiglia a carico grava - anche in termini assoluti, a prescindere dal calcolo del reddito disponibile - un maggiore carico relativo alle imposte indirette, poiché maggiori sono i consumi della sua famiglia: tornando all’esempio del percettore di un reddito di 30.000 euro, se è una persona sola subisce una pressione fiscale complessiva del 41%, se ha famiglia subisce una pressione complessiva (nominale, cioè senza applicare la correzione dell’aliquota “reale” appena vista) del 45%.

Alla fine, la famiglia non ha margini per risparmiare, mentre il single può investire i suoi risparmi in titoli di Stato, i cui interessi sono pagati con le maggiori imposte versate dal padre di famiglia!

Il profilo di iniquità emerge ulteriormente dal confronto con gli altri Paesi europei. Quasi ovunque i sistemi fiscali tengono conto dei carichi familiari in misura superiore all’Italia: la disparità maggiore è per il ceto medio; il confronto con la Francia è addirittura imbarazzante...


ALIQUOTE D'IMPOSTA PER UN LAVORATORE DIPENDENTE
CON CONIUGE E DUE FIGLI A CARICO *
(valori medi in percentuale)

Reddito imponibile in €

Germania

Spagna

Regno unito

Francia

Italia

25.000

3,29

8,97

13,85

0,21

6,90

50.000

16,12

21,19

17,93

5,00

26,43

75.000

26,30

28,06

23,56

7,56

33,10

100.000

29,26

31,80

27,67

12,13

36,17

* compresi gli effetti di detrazioni, deduzioni, assegni familiari; escluse le imposte locali. Elaborazione Il Sole 24 Ore del 15-1-2007



2) La famiglia, mentre non è considerata unità di reddito dal punto di vista fiscale (ogni percettore di reddito paga le tasse a prescindere da chi ha a carico), è però considerata unitariamente - con i varî redditometri (ISEE) - ai fini dell’accesso ai servizi sociali o della determinazione delle tasse universitarie: per limitare i benefici!


3) L’anomalia italiana non riguarda solo il trattamento fiscale, ma anche le prestazioni erogate direttamente dallo Stato alle famiglie: l’Italia è, tra i Paesi europei, quello che trascura maggiormente il soggetto famiglia (ci batte solo la Spagna).


PRESTAZIONI PER FAMIGLIA E INFANZIA
(% sul totale delle prestazioni sociali)

Lussemburgo

17,4

 

Zona Euro (media 12 Paesi)

7,9

Irlanda

15,5

 

Unione Europea (media 25 Paesi)

7,8

Danimarca

13,0

 

Belgio

7,1

Norvegia

11,9

 

Grecia

6,9

Finlandia

11,5

 

Regno Unito

6,7

Austria

10,7

 

Portogallo

5,3

Germania

10,5

 

Olanda

4,8

Svezia

9,6

 

Italia

4,4

Francia

8,5

 

Spagna

3,5

Dati Eurostat 2004
           

La scarsità di risorse dedicata a questo scopo dall’Italia si riscontra nella scarsità di asili nido; nella mancanza di alloggi pubblici per le nuove famiglie; nel trattamento penalizzante dei congedi “genitoriali” (in Italia 11 mesi, pagati al 30% solo nei primi sei mesi; negli altri Paesi in media 12 mesi, pagati tutti tra il 60 e l’80% dell’ultimo stipendio); nell’importo irrisorio degli assegni familiari (eppure le famiglie versano tasse cospicue a questo scopo: solo che parte dei fondi della Cassa Unica Assegni Familiari vengono distolti per altri fini).

Si badi bene: negli altri Paesi europei (ma anche negli Stati Uniti) le maggiori prestazioni sociali si sommano alle maggiori agevolazioni fiscali che abbiamo già visto!


4) Le bollette delle utenze (luce, gas, acqua) prevedono che il costo unitario (KW, m3, litro) aumenti in funzione dei consumi (secondo la logica per cui consumi troppo alti costituirebbero "sprechi"), senza però tener conto del numero dei componenti familiari. Pertanto, se una famiglia di quattro persone consuma il doppio di un single, viene penalizzata come "sprecona", anche se ogni suo componente ha consumato la metà!

5) Gli alimenti al coniuge separato sono detratti dalle tasse; se si trasferisce la stessa cifra all’interno della stessa famiglia, non ci sono detrazioni.
La ratio è che il costo degli assegni si somma ai maggiori costi per la nuova abitazione sostenuti da chi abbandona l'alloggio familiare. Ma questi costi non possono essere compensati dalla mano pubblica, detassando gli assegni per il coniuge: non spetta allo Stato garantire all’infinito il mantenimento di un determinato tenore di vita. (Altro discorso vale per gli assegni per i figli, la cui detassazione ha una giustificazione sociale).
Senza contare che l’agevolazione relativa agli assegni al coniuge rimane anche quando i coniugi separati iniziano una nuova convivenza (tornando a condividere le spese di alloggio con un compagno); e produce il paradosso per cui si agevolano le separazioni di comodo!

6) Se si tratta di rottamazioni, di tasse di successione, ticket sanitari o ristrutturazioni edilizie, le agevolazioni sono senza limiti di reddito; solo i sostegni alla maternità o le detrazioni fiscali per figli a carico sono con limiti di reddito.

7) Se si iscrivono i figli all’asilo, i separati hanno di norma un punteggio superiore alle famiglie regolari. 

8) Alle donne è reso difficile conciliare lavoro e famiglia. Solo il 10% delle lavoratrici italiane riesce ad ottenere un’occupazione part-time (anche solo per periodi limitati di tempo), contro il 24% in Francia, il 30% in Germania, il 44% in Gran Bretagna, il 57% in Olanda. In un’altra prospettiva: in Europa, in media, l’80% dei lavoratori part-time è costituito da donne (il 95%in Danimarca, Regno Unito, Svezia e Paesi Bassi) contro il 10% dell’Italia.


Insomma: il quadro di discriminazione della famiglia ci sembra chiaro. Un quadro che muove da lontano – da circa trent’anni – e che forse era il frutto dell’idea che nel nostro Paese la famiglia sia un soggetto forte, poco bisognoso di attenzione. Si tratta però di un’idea tragicamente sorpassata, perché i guasti subiti dalla famiglia sono già numerosi: lo testimonia il fatto che siamo il Paese con l’indice di natalità tra i più bassi del mondo, e che crescono separazioni e divorzî  (alle difficoltà poste da una politica oggettivamente antifamiliare, si aggiunge ovviamente la sempre maggiore difficoltà culturale di assumere impegni a lungo termine).

I guasti prodotti dall’attuale assetto delle politiche sociali sono di tre tipi.

a) Il primo è un guasto di inefficienza del sistema-Paese, poiché indebolire la famiglia significa indebolirne la capacità di assolvere i suoi compiti sociali.

b) Il secondo guasto è dato da numerosi aspetti di iniquità, anche paradossale, per cui i deboli o quelli che producono di più risultano più svantaggiati.
Esiste una consistente redistribuzione di risorse che penalizza le famiglie più giovani e avvantaggia i cittadini più anziani non indigenti: questi ultimi beneficiano di consistenti trasferimenti previdenziali e assistenziali, nonché di maggiori redditi da capitale (interessi sulle quote di debito pubblico che detengono, finanziati con le tasse pagate dai soggetti più giovani). I trasferimenti pubblici sono quasi esclusivamente a favore della componente “anziani” e “adulti disoccupati”, mentre i minori, i giovani inoccupati, gli anziani con pensioni minime sono a quasi totale carico delle famiglie. Non solo. Mentre i contributi versati dai lavoratori - che lo Stato utilizza per i suoi trasferimenti - non rientrano nel reddito imponibile, i ‘trasferimenti’ diretti che avvengono all’interno della famiglia sono interamente tassati. La discriminazione si ripete due volte!

c) Il terzo guasto sta in una pesante limitazione di molti diritti di libertà dei cittadini. Le giovani coppie sono penalizzate anche dalla rigidità del mercato della casa e di quello del lavoro, che costituisce un grave ostacolo per quanti desiderano sposarsi. Inoltre, nei Paesi occidentali il numero dei figli non solo è inferiore alle esigenze di stabilità e benessere sociali, ma è anche inferiore (con l’eccezione della Germania) al numero di figli desiderati: il divario medio è di 0,5 figli per coppia, che sale addirittura ad un figlio per l’Italia! È conculcato, insomma, il fondamentale diritto delle persone alla procreazione. I consultorî, poi, non effettuano l’intero spettro d’interventi previsto dalla legge, ma si riducono a centri di consulenza anticoncezionale.
Un’altra limitazione è quella di cui soffrono le donne, nel momento in cui è trascurato il loro ruolo familiare, fondamentale soprattutto nella crescita dei figli. In questo caso, oltre alla libertà di scelta sul numero di figli, è condizionata anche la libertà di scelta sul tipo di impegno lavorativo: per le donne è molto difficile conciliare famiglia e lavoro.

Qualcuno, a questo punto, potrebbe domandarsi: "ma se la famiglia sta messa così male, perché molti vogliono equiparare ad essa altre forme di convivenza? E perché, al contrario, coloro che difendono la famiglia sono contrari a tale equiparazione?"

Innanzitutto, quanti si battono per i Pa.C.S., i Di.Co. et similia vogliono creare un nuovo istituto che abbia i (pochi) vantaggi residui della famiglia tradizionale (pensione di reversibilità, successione legittima), ma non le penalizzazioni che abbiamo descritto, né i doveri (assistenza, fedeltà, limitazioni alla disponibilità sul proprio patrimonio) che l'ordinamento pone a carico dei coniugi. Mica fessi!
Chi difende la famiglia, invece, non lo fa per difendere "privilegi" che non esistono, ma per salvaguardare un istituto che è insostituibile nell'assolvimento di particolari funzioni sociali. Ciò non toglie, ovviamente, che ci si impegni per rimuovere le ingiuste discriminazioni che abbiamo visto, e per promuovere politiche sociali ed economiche di più attivo sostegno alla famiglia e al suo ruolo.



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